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Opporsi alle nozze gay non significa essere omofobi

Creato il 07 gennaio 2013 da Uccronline

Manifestation contre le mariage et l'adoption pour les couples homosexuelsNel dicembre scorso il matematico Giorgio Israel, docente presso l’università La Sapienza di Roma, dove è anche direttore del Centro di ricerca in metodologia della scienza, ha riflettuto sull’imminente introduzione del matrimonio omosessuale in Francia, ricordando la domanda dello scrittore Alexandre Thomas: «È possibile opporsi al matrimonio omosessuale senza essere omofobi?». La sua risposta è stata: sì, è possibile.

Ed infatti, ha proseguito Israel, il progetto di legge ha sollevato reazioni negative anche in ambienti progressisti, oltre a tutte le comunità religiose. Particolarmente interessante il documento che il gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim, ha indirizzato al presidente Hollande e al primo ministro Ayrault. Bernheim, nel quale vengono contestate le motivazioni “progressiste” addotte per sostenere il progetto, ovvero compiere un passo importante nella lotta democratica contro le ingiustizie e le discriminazioni, in coerenza con la lotta contro il razzismo, estendere il principio di uguaglianza e la difesa dei più deboli. Ma questi, ha replicato il rabbino francese, «sono argomenti che si smontano e non possono da soli giustificare una legge», sono «argomenti che si conformano al dominio dei benpensanti per paura degli anatemi» e quindi «non c’è né coraggio né gloria a votare questa legge».

Il matematico italiano ha a sua volta commentato: «Vi sono tante vie per eliminare le ingiustizie e le discriminazioni in oggetto, ma la via scelta risponde a un altro progetto ben più ambizioso: l’eliminazione delle differenze di genere. È una vecchia minestra ideologica che viene propinata da trent’anni da numerosi teorici postmodernisti secondo cui la vera matrice dei razzismi sono i dualismi, le strutture binarie su cui è fondata la civiltà occidentale: uomo/donna, naturale/artificiale, corpo/mente. Per cui la “liberazione” discenderebbe dal riconoscimento che la naturalità è una costruzione culturale priva di fondamento. (Come se le società non occidentali non fossero dominate da strutture binarie ancor più radicate). Sono posizioni ideologiche legittime, quanto è legittimo non condividerle e quanto è illegittimo produrre una simile “rivoluzione” sotto le mentite spoglie della lotta all’omofobia». Per quanto riguarda l’adozione per coppie omosessuali, ha proseguito il documento di Bernheim, citato da Israel, essa determinerebbe «un percorso regressivo al termine del quale si intravedono i fantasmi di cui il pensiero mitico, su tutti i continenti e in tutte le tradizioni, ci aveva liberati: l’indifferenziazione sessuale, l’individualità assoluta mentre i miti degli uomini, nella loro saggezza, avevano insegnato in senso inverso che la nascita dell’umanità passava attraverso la scoperta della differenza: quella dei sessi, quella degli altri, quella della morte».

A questo articolo di Israel ha risposto in modo decisamente scomposto il leader omosessuale Angelo Pezzana, affermando che «chi si oppone ai matrimoni gay è certamente omofobo». Con argomenti traballanti ha di fatto confermato che l’approvazione delle nozze gay servirebbe -secondo lui- a contrastare l’omofobia. Ha aggiunto, questa volta correttamente, che su questo argomento «la fede non c’entra nulla», ma sbagliando a sostenere che «il matrimonio è un contratto». Non è affatto così, come ha spiegato ottimamente la storica Lucetta Scaraffia. Pezzana ha quindi concluso: «Cari amici omofobi [...] vincerete ancora qualche battaglia, ma la guerra no, quella l’avete persa».

La replica di Israel non si è fatta attendere, sottolineando fin da subito l’abuso dell’accusa “omofobi” a chiunque abbia opinioni contrarie: «o si sta zitti e si applaude oppure si deve subire il marchio d’infamia», ha scritto. Nel suo articolo «Pezzana non si misura con i numerosi argomenti del lungo documento del gran rabbino di Francia Gilles Bernheim [...], di questo pare che non si possa discutere», ed inoltre, ha continuato il matematico ebreo, «vorrei piuttosto mettere in guardia Pezzana dall’illusione che col matrimonio gay si possa battere l’omofobia. Da quando esiste il matrimonio gay in Spagna, non solo ne sono stati celebrati assai pochi rispetto alle attese, ma l’abitudine di usare il termine “maricón” (frocio) e di chiamare “mariconada” qualsiasi vestito, abitudine, oggetto “strano”, inusuale o ritenuto ridicolo, impazza più di prima. E lo spazio manca per i tantissimi esempi analoghi».

Infine, ha concluso Giorgio Israel, «colpisce soprattutto che la carenza di argomentazioni di Pezzana si copra con l’affermazione trionfalistica: “vincerete ancora qualche battaglia, ma la guerra no, quella l’avete persa”. Se il “voi” si riferisce agli amici omofobi di Pezzana, mi guarderei dal trionfalismo: temo che costoro siano lungi dall’aver perso la guerra, e che i loro dominî siano lungi dal restringersi. Se invece si riferisce a chi solleva obiezioni argomentate in modo tollerante, schiacciato tra due intolleranze, allora sì che la guerra è persa. È indubbio che il matrimonio gay verrà introdotto per legge in un numero crescente di paesi, tra poco anche in Italia. Ma la storia dell’umanità è disseminata di guerre vinte eppure sbagliate. Vincere non vuol dire affatto aver ragione: c’è bisogno di ricordarlo? Tra le vittorie ci sono anche quelle di Pirro o le vittorie controproducenti, proprio perché l’obbiettivo era sbagliato. I processi complessi, che affondano nella psicologia profonda delle persone, non si modificano per decreto. Anzi, è proprio così che si rischia di ottenere come risultato quello che non si voleva».


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