Almeno sulla carta, gli Orlando Magic avevano tutto ciò che occorreva per provare a battere l’inglorioso record dei leggendari Charlotte Bobcats della passata stagione: un cambio di allenatore e di general manager, la cessione di due uomini con statistiche importanti (Ryan Anderson e Jason Richardson) in aggiunta alla perdita (a costo zero o quasi) del proprio uomo franchigia.
In più a demoralizzare ancor di più i poveri tifosi di Orlando ci hanno pensato il trio di Miami, riportando il titolo NBA nella soleggiata Florida, impresa mai riuscita ai cugini Magic.
Benchè sia ancora troppo lontano il traguardo stagionale per iniziare a fare il bilancio della stagione dei nuovi Magic, si può affermare (appena sottovoce) che meglio di così proprio non si poteva fare.
Partiamo dalla gestione tecnica della franchigia: abbandonato il “terrorismo psicologico” ed il sistema estremo di coach Stan Van Gundy, il nuovo GM Rob Henningan ha pensato bene di affidarsi a Jacque Vaughn, assistente allenatore di un certo Gregg Popovich a San Antonio.
Una scelta non banale considerando proprio i trascorsi di Henningan, sia a San Antonio che a Oklahoma (membro del front office che si occupò di gettare le basi dei Thunder con le scelte al draft di Durant, Westbrook, Harden ed Ibaka).
La dottrina tecnica di Vaughn fin qui disegnata sul parquet porta poi ad una considerazione interessante: pur essendo il roster orfano di un Howard vincitore per ben tre volte del titolo di miglior difensore della lega (senza contare il fatturato pressochè costante di punti e rimbalzi) i Magic hanno fin qui concesso la media di 94.7 punti a partita.
Risultato auspicabile vista la mancanza di un giocatore in grado di far pulizia nel proprio pitturato ma non certo prevedibile con certezza all’inizio della stagione.
Così come non era prevedibile il reale valore dei molti giocatori arrivati in Florida come contropartita per l’affaire Howard, come quell’ Aaron Afflalo, validissimo gregario (con attitudini difensive) ai Nuggets divenuto primo terminale offensivo della squadra.
E si potrebbe spendere una parola anche per Nikola Vucevic, arrivato anche lui quest’estate e che dopo un anno di apprendistato con Phila la scorsa stagione, prova a non far rimpiangere la dipartita di Howard portando in dote una doppia doppia di media ad ogni allacciata di scarpe.
Una squadra quindi ben assortita nella lineup titolare (prima degli infortuni comprendente anche Hedo Turkoglu e Glen Davis) con una panchina di prospettiva (da tenere d’occhio i vari E’Twaun Moore, Andrew Nicholson, e Mo Harkless) con un eccellente sesto uomo, quel J.J. Redick, il quale con le sue solide statistiche (al tiro ma anche nella distribuzione palla) inizia a porre la sua candidatura come sesto uomo dell’anno, pur restando al centro delle chiacchiere di mercato che lo vedrebbero lontano dalla Florida in cambio di future scelte al draft con cui portare avanti il progetto di ricostruzione.
Attualmente Orlando concorre per l’ottava piazza ai playoff insieme a Boston Celtics e Philadelphia 76ERS con un record di 12 vinte e 15 perse e considerato quelle che erano le premesse ad inizio stagione si può dire che il lavoro portato avanti finora rasenta la perfezione, a patto di non lasciarsi incantare dai troppi complimenti.