A cura di Marco Sanfelici
Mi sono sempre chiesto quale fosse il criterio adottato per stabilire l’evolversi del tracciato di una corsa a tappe. Difficoltà varie? Certo, ma troppo banale. Attraversamento di zone popolose? Bah, sarà! Un po’ di salite, un po’ di discese, un po’ di pianura, così da accontentare tutti i gusti, tra corridori protagonisti ed appassionati al seguito?
Forse sì, forse no! La risposta è facile. E’ sufficiente dedicare un sabato intero ad una delle frazioni più importanti dell’attuale corsa “rosa” o Giro d’Italia, che dir si voglia.
Mentre salgo in auto (dovere di cronaca!), penso che ad una occasione simile avrei dovuto rinunciare se fosse capitata di mercoledì o di lunedì…
Ecco la risposta: il fine settimana è la “conditio sine qua non” per creare l’offerta di uno spettacolo senza eguali. Così è stato sulle rampe che da Biella inerpicano il sudore ed i muscoli fino al Santuario di Oropa, là dove nubi e conifere si spartiscono con i rocchi e i gradoni centenari un raro fazzoletto di Paradiso scavato tra le prealpi biellesi.
Tappa numero 14, da Agliè ad Oropa, vale a dire dal mosso Canavese, attraverso la Serra morenica e le strade pedemontane sopra Biella, fino all’Alpe Noveiis, la valle Cervo ed infine la salita strappa cuori che porta al santuario che si guarda le spalle dal Mucrone.
Una “gita” di 165 km. per passisti con il “pallino” delle montagne e degli strappi sui pedali. Al primo passaggio a Biella un gruppetto di 21 corridori è avanti di 8 minuti,
accumilati praticamente dal “pronti via”. Ma la corsa è ancora lunga!
Il tempo di mettersi in macchina e di arrivare alla salita finale che si ha l’immediata consapevolezza di che cosa sia ancora, aggiungo per fortuna, il fenomeno ciclismo. Migliaia di cicloamatori, dalla squadra al completo, all’improbabile attempato con tanto di barba “intellettuale”, al padre con sediolo per il pupo e dietro la madre arrancante, ai seriosi di tutto punto vestiti, casco, guanti e scarpette, talmente simili nel rumore del passo ad un cavallo ferrato.
E’ il ciclismo, signori miei, lo sport più praticato, perchè più economico, ecologico, aggregante ed appagante. Se poi ad Oropa si arriva di sabato, ci si può imbattere in carovane di tifosi da tutto il nord, qui a ricordare ed a far rivivere, in uno sforzo quasi miracoloso, il campione che più ha segnato la fantasia e che più ha lasciato il marchio della leggenda nei cuori dei propri sostenitori.
Mi riferisco a Marco Pantani. Il “pirata”, che nel ’99 su queste strade compì un’impresa epica. Attardato da un salto di catena nei pressi di Favaro, risalì sulla bicicletta, riprese il gruppo che si era avvantaggiato dalla sua sfortunata sosta, li staccò ed andò a vincere per distacco.
Commovente vedere il percorso della strada per Oropa, tappezzato di manifestazioni di amore eterno per Pantani. Ogni angolo, ogni spiazzo è buono per uno striscione o una scritta di vernice inneggianti al povero, indimenticato romagnolo, orgoglio di tanti sportivi.
Poco ci è mancato che, per uno di quei casi della sorte, che con la sorte stessa hanno nulla da spartire, oggi si passasse da Pantani a…Pantano, scalatore colombiano che fino all’ultimo metro ha accarezzato il sogno della vittoria.
Ci ha pensato Battaglin, figlio d’arte, a bruciare Cataldo e Pantano (peccato!) sull’arrivo, con uno sprint degno di un velocista. Quintano? Uran? Caden Evans? Dietro a limitare i distacchi. Resa dei conti rimandata sulle Dolomiti, come è logico che sia.
Il nostro inviato speciale Marco Sanfelici, autore di questo emozionante report
Giù a Biella la gente esulta per la città svuotata di auto, con tanti che tirano fuori da cantine e soffitte le biciclette ( o bici, come diciamo noi piemontesi portati ad abbreviare tutto l’abbreviabile: siamo celtici mica per niente…). Sù ad Oropa, ci sparpagliamo per prati e rive, rigorosamente a piedi, applaudendo tutti i ciclisti, infischiandocene della maglia o del nome: tutti primi al traguardo del nostro cuore, per parafrasare il poeta!
E con il “pirata” in vetta ai nostri cuori…
Marco Sanfelici