Falcone e Borsellino (thanks to ho visto nina volare).
Il 19 luglio di 21 anni fa era una domenica apparentemente tranquilla, a Palermo (come anche un po’ in tutta Italia). Erano circa le cinque del pomeriggio, quando un figlio (ma anche padre di famiglia) andò a trovare sua madre. Stava giusto citofonando, nel momento in cui, d’un tratto, un rombo acutissimo si sentì forse in un po’ tutta la città.
Lui, però, se lo aspettava che prima o poi sarebbe successo. Lo aveva detto da quando il suo miglior collega era morto.
Il tramonto di quella giornata estiva cancellò la speranza che Paolo Borsellino aveva saputo suscitare in tutti noi, con la sua condotta di magistrato integerrimo.
Nella strage di Via D’Amelio, persero la vita anche i suoi ‘angeli’ (per citare il film in onore dei suoi agenti di scorta): Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Eddi Walter Cusina ed Agostino Catalano, che aveva più volte avvertito e spronato ad andarsene (perché ormai sapeva di essere stato condannato a morte dalla mafia, e con lui, tutti coloro che cercavano di proteggerlo).
Come tutti sappiamo, ha accompagnato Giovanni Falcone nelle inchieste da cui è derivato il più grande processo che sia fatto contro la mafia: il maxi processo, che costò alla mafia parecchi ergastoli (tra i boss) e, comunque, parecchi anni di reclusione per i ‘meno criminali’. Come il suo collega, o meglio, amico, non guardava in faccia a nessuno. La giustizia era la giustizia e bisognava perseguirla senza favoritismi e senza sconti per nessuno. Questa cosa, però, non piacque comunque a molte persone sia della politica sia della magistratura stessa, che agivano mettendo il bastone tra le ruote ai due amici magistrati, con l’intento di favorire la stessa mafia, protetta da chi aveva paura. Quella paura che, come diceva Borsellino stesso, fa morire più volte chi ce l’ha.
Negli ultimi suoi due mesi di vita, si dedicò alle indagini sulla strage di Capaci dove, durante i processi futuri, le relative condanne verranno ridimensionate dalla Corte di Cassazione. A rileggere, oggi, gli ultimi movimenti, le ultime parole di Paolo Borsellino, ci si imbatte in un uomo cosciente della propria fine imminente, perfettamente consapevole persino del possibile movente, eppure incapace di tirarsi indietro. Forse speranzoso di potercela fare, forse rassegnato ad una morte che in cuor suo “doveva” al suo amico Giovanni.
Ci si chiede ancora oggi se, più che ucciso dalla mafia, sia morto invece perché sia stato lasciato solo dalle Istituzioni. Basti pensare al suo amico, quando aveva avanzato l’idea relativa al Regime di Carcere Duro , più volte rigettata dal Parlamento. Da lì, il sospetto di Giovanni Falcone (meglio parlare di certezza?) che tra la gente politica, ci fossero parecchi collusi con la mafia.
Ma nonostante tutto…sì, nonostante i bastoni tra le ruote, nonostante lo Stato e le Istituzioni scoraggiassero la lotta alla mafia, nonostante il pericolo di morte continuamente perseguitante, che terrorizzava sia chi era nel mirino sia le persone più prossime, lui, Paolo Borsellino, aveva fiducia nelle generazioni future. Aveva fiducia nei figli della sua generazione perché avrebbero avuto più coraggio nel combattere per ciò che è giusto, senza avere quella colpevole indifferenza che ‘aveva mantenuto lui fino ai 40 anni’. Lo si può notare anche da quella fiaccolata, dove, appunto, era composta per lo più da ragazzi, ora diventati adulti, ma che sicuramente custodiscono nei loro ricordi quel giorno in cui Paolo Borsellino disse che: ‘Giovanni falcone aveva coscienza che un giorno la mafia lo avrebbe ucciso. La lotta alla mafia dev’essere un movimento culturale che abitui tutti a sentire il fresco profumo di libertà, che si oppone al puzzo del compromesso morale, all’indifferenza, alla contiguità e quindi alla complicità. Solo così il sacrificio di uomini come Giovanni Falcone non sarà stato vago’.
E sì. Ma anche il sacrificio di uomini come Paolo borsellino, però!
Articolo di Giulia De Gennaro