Magazine Maternità

Parlare con i bambini di morte. E di vita.

Da Jessi

Mai come negli ultimi quattro anni mi è stato chiaro come non si possa parlare di morte senza parlare di vita e, purtroppo, anche il contrario.

Il brano che ho scelto come ispiratore per parlarne in futuro con mia figlia (Antologia per un figlio) propone un’intepretazione che trovo profonda e insieme semplice, come lo è accettare la natura delle cose. Mi piace anche che si parli di vita e di morte insieme, perchè questo paradosso possa essere accettato per quello che di fatto credo che sia.

Il brano è il discorso di un padre al figlio, Śvetaketu, che rappresenta il desiderio dell’essere umano di conoscere e fare ricerca. In questo dialogo non si parla né di morte né di vita, ma di un destino di armonia, di un ciclo, che comprende in sé morte e vita. Non vi si parla di mondo globale e di destino personale, perchè i due sono inscindibili: la realtà dell’anima è legata a quella della vita in sé.

Il testo integrale è una vera poesia, con la struttura dialogica che prosegue sollecitata dalla sete dell’allievo e dall’amore del maestro pronto a trovare metafore sempre diverse, in grado ognuna di cogliere aspetti diversi del ciclo della vita. La metafora che trovo più bella è quella dei fiumi:

“I fiumi, o caro, scorrono gli orientali verso Oriente, gli occidentali verso Occidente. Venuti dall’oceano essi nell’oceano tornano e diventano oceano. Come là giunti non si rammentano di essere questo o quell’altro fiume, proprio così, o caro, le creature che sono uscite dall’Essere non sanno di provenire dall’Essere. Qualunque cosa siano qui sulla terra – tigre leone lupo cinghiale verme farfalla tafano o zanzara – esse continuano l’esistenza come Questo Tutto. Qualunque cosa sia questa essenza sottile, tutto l’universo è costituito da essa, essa è la vera realtà, essa è l’Atman, l’anima.

Essa sei tu, o Śvetaketu.”

“Continua il tuo insegnamento, o venerabile.”

Mi piacerebbe, un giorno, come in questo brano, sapere parlare della vita e della morte con grande poesia e delicatezza: non trovo niente di spaventoso nell’annullarsi nell’oceano come fanno i fiumi. E nel pensare di ritrovarsi nell’oceano con le altre vite. Parlare attraverso metafore permette di dare spazio all’interpretazione e all’elaborazione personale: i bambini forse si immagineranno un mare pieno di pesci, navi e balene. Inoltre, l’immagine dell’acqua, sempre in movimento, trasmette l’inestricabilità e il paradosso della vita e della morte in modo molto immediato.

Il brano è tratto dalla Chāndogya Upaniṣad, scritta tra il IX e il IV sec. a. C., e presa dall’edizione integrale delle Upaniṣad pubblicata da Utet e che si può leggere a questo link.

Per chi volesse confrontarsi con altri genitori e altri punti di vista, il tema è stato discusso anche -a mia conoscenza- da Cì, Michela, Nati x Delinquere e Genitori Crescono.

Vi è capitato di affrontare questo tema con i vostri bambini? come avete fatto?

 

Letture consigliate

Il giro del cielo di Daniel Pennac e Joan Mirò, che ho scoperto qui

 

Se ti fa piacere restare in contatto con il blog, puoi unirti al nostro  gruppo su Facebook.

 

Trattandosi di un tema personale, che chiama in causa scelte religiose e altre complessità, ho scelto di non riferire trattazioni scientifiche sul tema. L’unico spunto importante da tenere presente, quando si affrontano questi temi con i bambini, è quello della ‘positività’ di fondo del messaggio, per cui vi rimando alla discussione presentata qui.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :