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Pendolare da poco. Io (non) viaggio a Brescia e provincia.

Creato il 04 ottobre 2014 da Unarosaverde

Cambiar lavoro a 40 anni per continuare far quel poco di carriera che le mie facolta’ mentali, il mio carattere e un mondo misogino mi consentono, uscire da una gabbia in cui qualcuno mi aveva infilato per il proprio utile, significa prendere in mano le redini della propria vita. Trovarsene uno a 70 chilometri da casa, mentre quello precedente era a 12, significa essere abbastanza coglioni. Prendo atto di me stessa e mi adeguo pensando che la strada é lunga e dritta e il nuovo incarico avra’ una rivendibilita’ sul mercato del lavoro piu’ alta, quando sara’ ora di fare il prossimo spostamento. E che non mi annoio piu’ nelle ore che passo in ufficio.

Giugno trascorre in adattamenti: un po’ a casa, un po’ a meta’ strada in una casa che mia non é, ma mi accoglie come se lo fosse, e c’e’ pure una terza soluzione comoda ma deprimente pronta da usare in extremis. Non va malissimo: un’oretta ad andare e un’oretta a tornare, ma le scuole sono chiuse, e questo sporca lo scenario.

Luglio é nervoso: i cantieri sugli svincoli della Brebemi  creano code e rallentamenti che allungano di venti, trenta minuti i tempi di percorrenza.

Settembre é un incubo: le scuole riaprono, il traffico aumenta, i cantieri sugli svincoli della Brebemi in parte aprono, in parte congestionano ulteriormente il traffico.  Un mezzo per le manutenzioni stradali si incastra sotto il cavalcavia dello svincolo della tangenziale che corrisponde alla mia uscita verso l’azienda. A coda si somma coda e cosi’ sara’ per almen due mesi. Un’ora e venti per percorrere trenta chilometri. Quasi due per percorrerne 70. Son gli ultimi trenta chilometri che ti fregano. L’alternativa é partire molto presto. La spesa di carburante si aggira intorno ai dodici euro al giorno.

Vagolo su internet, esplorando coincidenze di mezzi e alternative. Intermodalita’, ecologia…se devo alzarmi prima, almeno su un mezzo che non guido io potrei leggere. Scopro che esiste la tessera Ioviaggio: l’abbonamneto per tutta la provincia di Brescia costa 83 euro al mese, quello che spendo in sette giorni lavorativi.  Me la procuro: in stazione sono gentili, agli Infopoint di Brescia ancora di piu’. Ho tutto per poter partire: proviamo.

Primo giorno: esco alle 6.30 da casa, c’e’ scuro, ma non fa freddo. L’inverno sta arrivando, tra i lampioni e l’asfalto umido. Arrivo in stazione: il trenino storico della Brescia-Iseo- Edolo passa in orario. Mi siedo, mi immergo in una biografia di Adriano Olivetti. Riemergo a Brescia, in stazione. Siamo in ritardo di dieci minuti. Cammino fino alla metro: che bella la metro di Brescia! Pulita, precisa, super tecnologica, nel senso di marcia che devo seguire io praticamente deserta. Arrivo fino al capolinea. Li’ ci sono le paline degli autobus: passa in ritardo, ma passa. Arrivo in ufficio alle 8.34. Perfezionabile. La sera devo attraversare la strada: é una delle principali vie che portano in citta’. Il traffico é sostenuto, non c’e’ passaggio pedonale. Non posso correre, con il ginocchio fuori uso é un’utopia. Aspetto, ce la faccio. É un rischio.

Secondo giorno: questa volta parto da una stazione sulla sponda sud del lago d’Iseo, 40 chilometri piu’ a sud del primo giorno. Sono le 7.15. Trovo posto: non ci speravo: in questi giorni infuriano le polemiche perche’ i treni passano, nella stessa zona, e lasciano a terra gli studenti perche’ sono gia’ stracolmi. Arrivo in orario in stazione, la metro é poco distante. Sono alla palina del bus alle 8.15. Perfetto. La corsa delle 8.19 non arriva, non passa, é in ritardo, i minuti scorrono, non passa, dove é? Il ginocchio urla: non c’e’ una panchina su cui poter sedersi.  Chiedo agli altri radunati intorno e accovacciati sul marciapiede: capita, mi dicono, si dimentichino di fare la deviazione verso la metro. É solo un anno che c’e’ la metro a Brescia: gli autisti non si sono ancora abituati e proseguono dritti sul vialone, un chilometro piu’ giu’. Surreale. La corsa delle 8 e 41 é in ritardo, feroce ritardo. Una ragazza chiama l’infopoint: é rassegnata, segno che la rabbia é un sentimento del passato. Pessimo segno. Alle 8.54 passa il bus delle 8.41. Alle 9.04 timbro il cartellino. Per fortuna faccio parte di quelli per cui vale la presenza: non spulceranno mai, a meno di iterate infrazioni, i ritardi di pochi minuti. Ma non va bene cosi’, non si puo’ accettare.

Sul treno, sulla metro, si puo’ leggere, gli operatori sono cortesi, il disservizio é ancora troppo alto. A pochi metri di distanza le lunghe code delle automobili avanzano lente: alla loro guida, o sopra un mezzo pubblico, la sostanza non cambia. Cogliona, per l’appunto, ma ormai cosi’ é. Indietro non si torna, ne’ ci tornerei. Farei l’intermodale ecologica, eco chic, eco trendy, e tutto quello che volete, se me lo lasciassero fare in pace, ma é un altro campo di battaglia pure questo. La prossima volta che nasco, voglio vivere di rendita.


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