Sinossi: La Zia Rosamond non è più. È morta nella sua casa nello Shropshire, dove viveva sola, dopo l'abbandono di Rebecca e la morte di Ruth, la pittrice che è stata la sua ultima compagna. A trovare il cadavere è stato il suo medico. Aveva settantatré anni ed era malata di cuore, ma non aveva mai voluto farsi fare un bypass. Quando è morta, stava ascoltando un disco - canti dell'Auvergne - e aveva un microfono in mano. Sul tavolo c'era un album di fotografie. Evidentemente, la povera Rosamond stava guardando delle foto e registrando delle cassette. Non solo. Stava anche bevendo del buon whisky, ma... Accidenti, e quel flacone vuoto di Diazepam? Non sarà stato per caso un suicidio? La sorpresa viene dal testamento. Zia Rosamond ha diviso il suo patrimonio in tre parti: un terzo a Gill, la sua nipote preferita; un terzo a David, il fratello di Gill; e un terzo a Imogen. Gill e David fanno un po' fatica a capire chi sia questa Imogen, perché prima sembra loro di non conoscerla, poi ricordano di averla vista solo una volta nel 1983, alla festa per il cinquantesimo compleanno di Rosamond. Imogen era quella deliziosa bimba bionda venuta con gli altri a festeggiare la padrona di casa. Sembrava che avesse qualcosa di strano. Sì, era cieca. Occorre dunque ritrovare Imogen per informarla della fortuna che le è toccata. Ma per quanti sforzi si facciano, Imogen non si trova. E allora non resta - come indicato dalla stessa Rosamond in un biglietto - che ascoltare le cassette incise dalla donna...
Il pensiero di Annachiara: La pioggia prima che cada è il penultimo romanzo di Jonathan Coe, edito in Italia da Feltrinelli nel 2007, ed è un libro veramente bello. Prima di ogni altra cosa, è questo il giudizio che mi sento di dare: un libro dal quale non si riesce a staccare gli occhi, che si legge a grandi sorsate e con estremo piacere e, pur nella sua semplicità, riesce a conquistare il lettore fin dalle prime pagine e a trascinarlo nella storia.
“Talvolta le immagini che ricordiamo, quelle che sono impresse nella nostra mente, possono essere più vivide di qualsiasi cosa una macchina fotografica sia in grado di fissare sulla pellicola.”
Venti fotografie. Venti scatti per raccontare cinquant’anni di storia familiare, cinquant’anni di persone e segreti più o meno nascosti. Quando la zia Rosamond muore, all’età di settantatrè anni, la parte più interessante del suo testamento si rivelano essere dei nastri, registrati poche settimane prima della sua morte, in cui racconta, a beneficio di una lontana parente che sembra ora essere scomparsa nel nulla, la storia di sua cugina Beatrix e le vicende che hanno portato le loro vite prima, e quelle dei discendenti poi, ad intrecciarsi inestricabilmente. Lo fa partendo da venti fotografie selezionate personalmente, che vengono descritte, con poche ma accurate pennellate, all’inizio di ogni “capitolo narrativo” e che il lettore riesce ad immaginare con straordinaria chiarezza.
“Quello che voglio che tu abbia, più di ogni altra cosa, è il senso della tua storia, il senso della tua provenienza e delle forze che ti hanno creata.”
Ho sempre avuto un debole, nella realtà come nella finzione, per le cosiddette “storie di famiglia”. Per quegli aneddoti e quelle vicende che non vengono mai narrate, quei particolari destinati a rimanere nell’ombra, a non essere svelati, di cui nel tempo se ne perde il ricordo e non viene rinnovato nelle nuove generazioni. Meglio ancora se a raccontarle sono le vecchie zie, le figure un po’ strampalate presenti in ogni famiglia, quelle rimaste nell’ombra per tutta la vita eppure piene di risorse e di simpatia. Ecco, Rosamond è esattamente questo tipo di persona e questo romanzo, dunque, non poteva non attirare la mia attenzione. La storia narrata riesce ad essere in qualche modo vera: si inserisce in un contesto familiare normale e questo incoraggia sicuramente l’empatia che qualsiasi lettore riuscirà a provare verso i personaggi. Anche la storia narrata, in fondo, è una storia normale. Non vi è assolutamente nulla di eccezionale in questi personaggi né in quello che capita loro. Vi è tanto dolore, come nella realtà, vi sono sbagli e rimpianti e perfino qualche momento felice ma nessun colpo di scena, nessun gesto eclatante. Il finale della storia narrata da zia Rosamond è intuibile già dalla metà del libro, ma non è affatto importante. L’espediente narrativo scelto, le venti fotografie, si rivela non solo un particolare curioso ma una tecnica furba, che permette, senza alcuna stonatura, di saltare da un momento ad un altro, di focalizzarsi su giorni importanti e far trascorrere anni senza una parola, senza che per questo il lettore ne risenta e storca il naso. Narrare cinquant’anni di storia in poco più di duecento pagine non è facile, ma Coe riesce a farlo con eleganza e senza intoppi “temporali”. Lo stile anche è in accordo con il tipo di narrazione scelta: è colloquiale ma non povero o approssimativo, sembra proprio di sentir parlare una vecchia zia, o una nonna. Nonostante le premesse la storia non risulta pesante o particolarmente impegnativa: lascia qualche spunto di riflessione e qualche emozione ma resta un libro lieve, delicato, che si posa sulle coscienze dolcemente.
“Non mi dispiace la pioggia estiva. Anzi, mi piace. È il tipo che preferisco.” “Il tuo tipo di pioggia preferito?” disse Thea. Aveva la fronte aggrottata, mentre rifletteva su queste parole, poi annunciò: “Be’, a me piace la pioggia prima che cada.”
Annachiara