Domenica scorsa sono diventati santi Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII. Per il primo è stata determinante la guarigione miracolosa di Floribeth Mora: il giorno della sua beatificazione nel 2011, Floriberth ha pregato per la guarigione dall’aneurisma cerebrale di cui era vittima, che è improvvisamente scomparso la notte stessa, senza lasciare alcuna traccia, come certificato dal neurochirurgo Alejandro Vargas Román, la massima autorità sugli aneurismi del Costa Rica.
Definito “l’evento mediatico dell’anno”, come nel 2013 fu la beatificazione di Papa Wojtyla, impressionate è stata la moltitudine di persone che ha seguito l’evento (un milione a Roma e due miliardi in televisione). Secondo Maria Macioti, sociologa delle religioni all’università “La Sapienza”, «abbiamo assistito ad un evento che contribuirà a consolidare e irrobustire il ruolo del papato: la presenza a san Pietro di due pontefici in salute, che si abbracciano, che si stimano. L’immagine planetaria che si è diffusa ha finito per rafforzare l’istituzione in sé, il papato ma anche il Vaticano». Secondo Francesco Paolo Casavola, insigne giurista e presidente del Comitato nazionale per la bioetica, «nessuno Stato, nessuna organizzazione di Stati, nessun potere economico al mondo è in grado di riunire una moltitudine spontanea di un milione di pellegrini, venuti da ogni Paese e popolo del pianeta, e meno di un centinaio di rappresentanze formali di capi di Stato e di governo».
Tra gli interventi più interessanti di questi giorni anche quello di Vittorio Messori, che ha proposto una lettura differente, valutando che «l’albero [cioè la Chiesa cattolica, nda] non è poi così guasto, se continua a dare frutti che – oggettivamente, al di là di ogni apologetica clericale – hanno tali qualità da attrarre a sé l’attenzione, anzi l’ammirazione di tanti uomini nel mondo intero. Quale istituzione ha avuto al vertice persone di grande diversità per storia personale e temperamento e al contempo di grande omogeneità per vasta cultura e per coerenza della vita con il pensiero come (stiamo solo a questo dopoguerra) Pacelli, Roncalli, Montini, Luciani, Wojtyla, Ratzinger e, ora, Bergoglio?». Pierluigi Battista, infine, si è indignato per la «voglia laica di partecipare all’evento come se si fosse credenti», stimando invece la sincera commozione dei credenti e della Chiesa, che «offre la dimostrazione della sua forza e del suo radicamento nella coscienza popolare».
Nei giorni precedenti alla canonizzazione, alcuni quotidiani hanno rivelato la “deposizione” che il cardinale Carlo Maria Martini rese al processo per la canonizzazione di Papa Wojtyla, contenuta nell’ultimo libro di Andrea Riccardi. Una opinione segnata dalla critica, anche se per molti si tratta di semplice invidia e per qualcuno addirittura di vendetta o rivincita. Il Pontefice polacco, infatti, diede ampio impulso e consenso ai movimenti ecclesiali proprio mentre l’arcivescovo di Milano cercava di limitarne l’autorità, parliamo in particolare dei Neocatecumenali, l’Opus dei, dei Focolarini, del Rinnovamento dello Spirito e di Comunione e Liberazione. Proprio quest’ultimo nacque nella Curia milanese, ricevendo da Giovanni Paolo II parole importanti: «”Andate in tutto il mondo” (Mt 28, 19) è ciò che Cristo ha detto ai suoi discepoli. E io ripeto a voi: “Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace, che si incontrano in Cristo Redentore”. Questo invito che Cristo ha fatto a tutti i suoi e che Pietro ha il dovere di rinnovare senza tregua, ha già intessuto la vostra storia». Come è stato ricordato, nel 1985 durante il Convegno “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”, la Conferenza episcopale italiana bacchettò questi movimenti. Giovanni Paolo II, intervenendo di persona, rovesciò la prospettiva e ne esaltò invece il ruolo nella nuova evangelizzazione. A presiedere quel convegno c’era proprio Martini, che ne fu il grande sconfitto.
Nella critica di Martini non ci sono però soltanto le diverse prospettive sui movimenti ecclesiali, ma anche il fatto che Giovanni Paolo II si mise «al centro dell’attenzione, specie nei viaggi, con il risultato che la gente lo percepiva un po’ come il vescovo del mondo e ne usciva oscurato il ruolo della Chiesa locale e del vescovo». Condividiamo la risposta di Antonio Socci: «Questa desolante considerazione dimentica che papa Wojtyla dovette confortare nella fede e ridare coraggio a milioni di cristiani che negli anni Settanta erano perseguitati e incarcerati in Oriente e umiliati e silenziati in Occidente. Inoltre i pellegrinaggi di Giovanni Paolo II dettero un formidabile slancio missionario proprio alle chiese locali (basti pensare ai sedici viaggi in Africa e alla rinascita della fede che ne è seguita in quel continente)».
L’ultima critica del card. Martini alla santificazione di Wojtyla è nell’aver mostrato un’eccesso di perseveranza nel rimanere al soglio pontificio nonostante la grave malattia, «personalmente riterrei che aveva motivi per ritirarsi un po’ prima». Proprio Irene Kluger, vedova di Jerzy Kluger, ebreo polacco amico di Giovanni Paolo, ha rivelato che «ce ne aveva parlato più volte della possibilità di dimettersi. Ma nello stesso tempo quella decisione per lui in quel momento non era giusta perché avrebbe danneggiato la Chiesa. O meglio, che quella decisione in quel momento storico sarebbe stata contro la Chiesa». Inoltre, come ha risposto nuovamente Socci, lo stesso Martini una volta concluso il suo episcopato milanese, per raggiungimento dell’età canonica, invece di ritirarsi a vita di preghiera, come aveva annunciato, intensificò il suo presenzialismo sui media anticlericali, che lo invocavano a gran voce grazie alle sue uscite anticlericali.
Come abbiamo scritto anche noi nel giorno della sua morte, è proprio questo uno dei motivi per cui non stimiamo particolarmente l’ex arcivescovo di Milano: non si può infatti dire che egli abbia fatto degli sforzi visibili per sottrarsi alle insidiose lusinghe di anticattolici, mangiapreti e miscredenti, i quali facevano a gara per osannarlo, intervistarlo e amplificare le sue critiche alla Chiesa. Tanto che Mario Giordano lo ha definito così: «un Papa perfetto per coloro che non credono al Papa, il guru di una religione cattolica che piace molto a coloro che si professano non cattolici».
Ma Giovanni Paolo II è stato santificato e il compianto card. Martini non è stato fortunatamente ascoltato, ancora una volta. Molto interessante, invece, la deposizione nel 2005 del card. Bergoglio durante il processo romano per la causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo: «La sua morte è stata eroica e questa percezione credo che si possa dire universale, basti pensare alla manifestazione di affetto e di venerazione riservatagli dai fedeli e non durante i novendiali e al suo funerale. Dopo la sua morte la sua fama di santità è stata confermata dalla decisione del Santo Padre Benedetto XVI di eliminare l’attesa dei cinque anni prescritta dalle norme canoniche, permettendo l’avvio immediato della sua causa di canonizzazione. Altro segno è il continuo pellegrinaggio sulla sua tomba di gente di tutti i ceti e di tutte le religioni».
La santità, in conclusione, non significa non aver commesso errori. Lo disse lo stesso Papa Wojtyla nel settembre 2000 elevando agli altari Pio IX: «Beatificando un suo figlio, la Chiesa non celebra particolari opzioni storiche da lui compiute».
La redazione