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http://iniziativa21058.blogspot.com/2011/07/costruire-un-parco-nel-cielo-walk-ways.html
ma ora siamo felicissimi che un’italiana dirigerà il lato artistico di una delle passeggiate più frequentate di New York. È Cecilia Alemani, 34 anni,
da novembre curatrice della High Line Art, il programma di arte pubblica del parco nato dal recupero della vecchia linea ferroviaria sopraelevata che attraversa Chelsea, il quartiere a più alta densità artistica di Manhattan. Inaugurata nel 2009, in poco tempo la High Line è diventato uno dei luoghi imprescindibili della città
«Non è solo una bella vista. È un volano per l’economia: ha generato 2 miliardi di dollari di investimenti», ha detto il sindaco Michael Bloomberg. «Ora sarà anche un museo a cielo aperto: un luogo pacifico e gratuito dove ammirare opere di arte contemporanea», dice Cecilia, laureata in filosofia all’università Statale di Milano e arrivata negli Usa nel 2003. «Sono venuto a New York per un master in studi curatoriali, poi non sono più tornata indietro», racconta.
Adesso ha davanti una sfida impegnativa: in poco più di due anni la High line ha attirato più di 7 milioni di visitatori. «È la prima volta che mi confronto con un pubblico così grande, molto diverso da quello delle gallerie d’arte, non si tratta di specialisti. Ed è la prima volta che mi dedico al 100% alla sfera pubblica. Ma l’opportunità di parlare a una audience cosi vasta è una cosa molto rara oggi giorno, per me è un grandissimo stimolo», spiega la Alemani, che ha già curato eventi e progetti a New York, come la mostra Comfort of Strangers allestita nel 2010 al MoMa nel 2010.
Ora dovrà occuparsi di scegliere progetti, performance e istallazioni su questo frequentatissimo ponte di ferro lungo circa 2 chilometri, costruito a 10 metri di altezza dalle strade che vanno dal Meatpacking district alla 34a strada.
Se si chiede a Cecilia perché ha scelto di fare questo lavoro, lei risponde così: «Curare mostre significa lavorare direttamente con gli artisti per realizzare i loro progetti più impossibili. È sicuramente l’aspetto più stimolante». Il suo lavoro attuale sarebbe possibile in Italia? «Qui c’è sicuramente una sensibilità e un’apertura diversa dall’Italia e forse la gente è più abituata a essere sorpresa dall’arte in luoghi pubblici».
Eppure ci sono esempi positivi anche da noi: «A Milano il dito di Cattelan svetta ancora in piazza Affari, un segno dell’apertura dei milanesi all’arte», ricorda Cecilia. Allora perché andare via? «La società americana, a differenza di quella italiana, è meritocratica: non importa da dove vieni o quanti anni hai, se sei bravo e qualificato nel tuo campo troverai di sicuro un lavoro», risponde la curatrice. Il suo ultimo incarico, per esempio, lei lo ha ricevuto così: «Sono stata contattata direttamente da uno dei cofondatori di Friends of the High Line, l’organizzazione non profit che si occupa di gestire il parco».
Quindi in Italia proprio non tornerebbe? «Solo se la situazione culturale si sbloccasse e rinfrescasse un po’. Se si lasciasse modo alle giovani generazioni di inserirsi in un circuito culturale che è da sempre in mano a una gerontocrazia. Per ora vedo poche piattaforme dove giovani curatori possano lavorare in libertà. Ma ovviamente l’Italia è sempre nel cuore. Ci torno spesso e mi piacerebbe un giorno vedere la grande creatività italiana rifiorire a livello internazionale».
di Antonio Sgobba nuvola.corriere.it
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