Marco Pannella passa dallo sciopero della fame a quello per la sete. È lo stesso leader radicale a dare l’annuncio dai microfoni di Radio Radicale. La voce è flebile, le parole si arrotolano l’una sull’altra. 60 giorni di azione non violenta si fanno sentire.
Insieme ad altre 15 mila persone, Pannella sciopera perché “in questo paese, straripante di imbroglioni, millantatori e opportunisti, possa esserci un barlume di democrazia”. Uno dei primi obbiettivi è dare visibilità alla condizione delle carceri che mette l’Italia “assolutamente fuori dal diritto e dalla legalità internazionale”.
Da vent’anni la giustizia è oggetto di dibattito solo nella misura in cui è funzionale a colpire (e dunque rafforzare) Berlusconi. Il sovraffollamento carcerario, l’inadeguatezza delle strutture detentive, i dieci milioni di processi pendenti, le milioni di vittime in attesa di risarcimento, le migliaia di detenuti in attesa di processo, le migliaia di agenti di custodia sottoposti a turni di lavoro massacranti, sono letteralmente scomparsi dal dibattito politico sebbene costituiscano la pietra angolare della crisi italiana.
In un Paese che affoga nell’ideologia, la mobilitazione di Pannella ricorda a tutti che abbattere il legittimo impedimento (col referendum appena celebrato) non basta a ripristinare una la giustizia uguale per tutti. È necessaria un’amnistia legale e ordinata come primo passo per mettere la parola fine a quella clandestina e di classe che in Italia manda impuniti tutti coloro che possono pagare avvocati abbastanza bravi per il tempo necessario alla prescrizione del reato.