-Di Cinzia Aicha Rodolfi
E’ necessario dire che solo poco tempo fa, ovvero alla fine del 1800, soltanto il 5% della popolazione della nostra penisola si esprimeva in italiano, cioè il restante 95% parlava e si relazionava normalmente ed ovunque quasi esclusivamente con i dialetti locali. Questi diversi idiomi erano talmente numerosi che addirittura, spesso, nel raggio di pochi chilometri si poteva sentire un mutamento sostanziale di accento, nonché parole completamente differenti ed incomprensibili.
Bastava scendere a valle, passare un fiume, attraversare una zona desertica o paludosa ed ecco che sembrava già di entrare in una nazione diversa. Inoltre sappiamo bene quante volte la nostra lunga Italia fu suddivisa e conquistata da altri popoli, che mischiarono ai nostri i loro usi e costumi, ed intanto i loro modi di parlare e di relazionarsi trasformarono quelli indigeni.
Oggi però la lingua italiana si è pienamente affermata nell’uso parlato di tutta la popolazione; anche lo zoccolo contadino che verosimilmente ha potuto studiarla poco, da cinque o sei decine di anni si esprime con la lingua nazionale, ma è un fatto tristemente noto che solo una piccola percentuale di chi la usa sa trattarla nel modo corretto.
Certamente c’è stata una rapida e vasta diffusione che l’ha portata repentinamente a diventare una lingua per tutti; imposta senza la necessaria lenta assimilazione; pertanto è passata in pochi decenni da lingua d’élite a lingua obbligatoria nelle scuole, nelle istituzioni, nella cultura e nell’informazione. Questa “conversione di classe” è stata buon deterrente in supporto alla diffusione di ogni traguardo democratico, ma la lingua fu altresì stressata con pressioni e fenomeni di mutamento che tutt’ora la caratterizzano, e sono causa di una rovinosa banale diffamazione della forma esteriore e del contenuto interiore.
Evidentemente la frettolosa corsa alla sua diffusione nonché necessario insegnamento ad una notevole popolazione rurale, abituata ad una mentalità diffidente e di lenta assimilazione, non fu di aiuto affinché si propagasse nella maniera più consona alla preservazione della parte più raffinata, e purtroppo ci si accontentò di un progressivo consolidamento di un “italiano dell’uso medio”.
L’elegante lingua di Dante Alighieri ricchissima di vocaboli subì una mutilazione e si arricchì di facilitazioni prese dai dialetti a divenirne tutt’altro da quella che era e soprattutto ad impoverirsi.
Troppi fruitori oggi non conoscono nemmeno un decimo dei suoi vocaboli e neppure le regole basilari della sua grammatica, però la cosa più odiosa per chi invece la ama risulta essere l’evidente fatto che il cattivo uso non sia un problema nemmeno a livello scolastico/universitario dove questo rozzo linguaggio parlato viene paradossalmente accettato.
Sentiamo continuamente neo laureati esprimersi senza il dovuto congiuntivo, e spesso usando pronomi personali errati o addirittura articoli scorretti; li leggiamo scrivere con errori abnormi, e ci stupiamo che abbiano ottenuto persino una votazione eccellente; quindi comprendiamo sia stato poco importante l’uso corretto della lingua nazionale per ottenere l’attestazione del massimo livello di “cultura”.
L’italiano dell’uso medio si mostra spesso come una lingua più povera, che ignora le regole e gli usi adeguati, al punto da aver fatto discutere i linguisti sull’espansione di una “lingua selvaggia” e naturalmente, conseguenza di ciò, si è indebolito anche l’uso corretto e appropriato dell’italiano scritto.
Gli studenti di oggi scrivono peggio di quelli di non molti anni fa, hanno altresì maggiore difficoltà nel gestire le caratteristiche specifiche dell’uso sia parlato che scritto della lingua corretta, nella sua ricchezza e raffinatezza, a vantaggio della forma abbreviata e semplice che rasenta spesso la banalità e dimostrerebbe una pochezza di contenuti.
A detta degli studiosi sembra essere il cattivo uso orale che influenza la scrittura, ma anche il nuovo modo di comunicare che impone le sue esigenze e caratteristiche specifiche. Esempio la frettolosa maniera di esprimersi via e-mail o via sms, la quale crea uno stile informale che si afferma, spontaneamente ma anche consapevolmente, negli usi scritti classici per esempio didattici.
Anche i giornali usano spesso una lingua sensibilmente attratta dal parlato, dalla sua immediatezza ed espressività, dove si tenta di riprodurre in modo sgrammaticato certe affermazioni che diventano discorso indiretto senza seguire le regole corrette della mutazione.
Addio frasi articolate, addio sintassi ricca di periodi e sottoperiodi ed a prendere questo posto arriva un nuovo lessico snello, ma povero, colloquiale fino a diventare addirittura irriverente.