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Perché la mafia è tanto potente?

Creato il 19 aprile 2011 da David Incamicia @FuoriOndaBlog

di David Incamicia |
Perché la mafia è tanto potente?“L’Italia per noi è diventata un Paese sconosciuto”. E’ così che esordisce un recente dossier di uno dei periodici europei più attenti alle vicende di casa nostra: il tedesco Zeit. E’ vero, noi “mangia spaghetti” non siamo mai stati molto simpatici alla stirpe teutonica. Eppure, a quell’affermazione iniziale sono tanti gli italiani - me compreso - a cui verrebbe da chiosare: “anche per noi”.
Il fenomeno della criminalità organizzata, vera dominatrice degli equilibri sociali e finanziari del nostro Paese dalle Isole alle Alpi, non sempre viene considerato e analizzato dai media nazionali con la dovuta scrupolosità critica e senza cedere all’enfasi con cui da tempo si evidenziano i comunque buoni risultati conseguiti grazie all’attività investigativa e giudiziaria, propagandisticamente attribuiti all’esclusiva azione politica dell’esecutivo. Utili sono, pertanto, gli spunti di riflessione che provengono da oltre confine.
All’interno di ogni organizzazione malavitosa vi sono gruppi che, in determinati momenti e in diversi campi, sono più forti di altri. La ‘ndrangheta calabrese è certamente una delle mafie più potenti al mondo, al suo interno decidono i clan che risiedono nella catena montuosa dell’Aspromonte: a San Luca, Africo, Platì. Nella camorra napoletana, invece, sono particolarmente forti i clan di Casal di Principe, di Secondigliano e della piccola cittadina di Marano di Napoli. In Sicilia, oggi come ieri, hanno il primato di Cosa Nostra i gruppi di Palermo e Catania. La Sacra Corona Unita pugliese, infine, è considerata l’organizzazione mafiosa più recente in Italia. Dopo un periodo di scioglimento, si è completamente ricostituita. Le bande nel nostro Paese possono essere strutturate in modi diversi, ma le organizzazioni mafiose hanno una cosa in comune: non muoiono mai completamente. In una grande associazione può magari accadere che una famiglia venga annientata, ma l’organizzazione mai.
Negli ultimi anni si è rafforzata la sensazione che la mafia siciliana - probabilmente anche in virtù della propaganda filogovernativa di cui sopra - si sia indebolita, mentre quella calabrese assume una posizione sempre più forte. Questo dipende essenzialmente dal fatto che, dopo gli spettacolari omicidi perpetrati da Cosa Nostra dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la messa a fuoco e l’impegno dell’apparato governativo sono focalizzati proprio sui clan siciliani. A differenza di altre organizzazioni, la mafia siciliana ha attaccato direttamente le istituzioni dello Stato, perché si vede essa stessa come un antistato. Ma chi ha ucciso un magistrato di primo piano smuovendo addirittura l’attenzione internazionale, provoca comunque una forte reazione dello Stato. ‘Ndrangheta e Camorra operano in modo totalmente diverso, non si considerato pregiudizialmente ostili allo Stato anzi, sovente cercano di intessere relazioni con suoi settori disponibili e infedeli. Tuttavia, il fatto che negli ultimi tempi in Sicilia si stia sparando di meno non deve trarre in inganno. E’ quando il conflitto è più aspro che le la criminalità organizzata è maggiormente esposta e vulnerabile; se le armi tacciono, di contro, assai spesso è perché gli affari prosperano.
La ‘ndrangheta detta legge in una regione estremamente isolata. Il territorio che controlla è raggiungibile solo in auto, e persino questo è piuttosto complicato. Anche perché la ‘ndrangheta stessa, come documentano anche numerose inchieste, impedisce da oltre 40 anni il completamento della Salerno-Reggio Calabria. La storia di questa strada si perde infatti nei buchi neri della politica italiana e nelle torbide relazioni con imprenditori corrotti e criminalità organizzata. In ogni caso, l’isolamento della Calabria e il completo fallimento di eventuali investimenti legati al turismo altalenante della stagione estiva, ha come conseguenza che questa striscia di terra resta a disposizione quasi totale delle cosche. E uno dei fattori della smisurata ricchezza e della potenza della ‘ndrangheta risiede appunto nell’estrema condizione di povertà e arretratezza di quel territorio.
“Perché le mafie sono così potenti?”, si chiede il magazine tedesco. “E perché - aggiunge - la criminalità organizzata non investe neanche un centesimo dei suoi enormi profitti nei suoi territori, per renderli un po’ più vivibili e meno disperati?”. Questa domanda, come è del tutto evidente, è a dir poco ingenua. Se ci fosse davvero la prospettiva di qualcosa di simile a una qualità della vita, allora la gente potrebbe pretendere di più, sentirsi più emancipata. Oggigiorno un boss può commissionare un omicidio anche per 2500 euro, ma se le popolazioni di quelle aree così depresse potessero contare su un ambiente più funzionale, su una vita più facile, allora sarebbe piuttosto arduo trovare un killer disposto a correre un simile rischio a quel prezzo. Insomma, alle mafie (così come a molta politica) conviene mantenere la gente in uno stato permanente di bisogno e di disperazione.
Se un seguace del proprio clan ha problemi personali o familiari, più o meno gravi, l’organizzazione interviene “donando” ingenti somme di denaro. Questo vale in Calabria come in Campania o in Sicilia: è la vera forza delle mafie. Si fa finire il proprio territorio in miseria e poi si impone la legge del silenzio, la dittatura della più assoluta remissione, la regola della vita modesta e della rinuncia. Dal terrore del ricatto nasce e si perpetua quell’odioso sistema fondato sull’omertà.
Un altro interrogativo che si pone lo Zeit, pure in questo caso ingenuo, è come riescano uomini tanto arretrati e rozzi a dirigere imprese mondiali illegali. La ‘ndrangheta, ad esempio, ha ottimi e referenziati contatti nell’America del Sud, perché con la sua affidabilità riesce a conquistare la fiducia dei trafficanti di droga. Le regole dell’Aspromonte valgono in tutto il mondo, in Australia e Nuova Zelanda, così come in Canada e in Europa, perché sono sempre gli uomini dell’Aspromonte a rispondere in caso di problemi in un affare coi clan calabresi. Se una tonnellata di cocaina è pagata meno o addirittura niente, se quella cocaina viene sequestrata, se qualcosa va storto, allora entrano in gioco gli uomini della ‘ndrangheta, in Italia o in qualsiasi altra parte del mondo. Chiunque fa affari con la ‘ndrangheta, sa bene che la ’ndrangheta risolve anche i problemi. Sempre.
Nello stesso tempo, nel loro isolato territorio di dominio, gli ‘ndranghetisti sono praticamente introvabili. E le ‘ndrine si basano sulla parentela di sangue, cosa che le rende, in un certo qual modo, la più aristocratica di tutte le organizzazioni mafiose. La camorra, invece, è assolutamente “borghese”, lì si può fare una carriera anche se non si è figli di un camorrista. Per questa ragione, pur essendo meno ricca e potente, dispone di una quantità di seguaci infinitamente più grande della ‘ndrangheta: oltre 100.000 “soldati”, minori compresi.
Ma questi numeri non dicono molto. Un’organizzazione criminale è fondata soprattutto su regole ferree e rispetto. Pur trattandosi di “creature” italiane, poco hanno a che vedere con gli stereotipi del disordine, dell’anarchia e della bella vita. Forse i mafiosi potranno anche apparire come quelli della fiction “Soprano´s” - rileva l’analisi del giornale - ma il loro potere lo mantengono con moltissima disciplina e disponibilità al sacrificio. Ciò che ha permesso ai calabresi di diventare così forti in Germania è il fatto che i tedeschi non siano mai riusciti a produrre una mafia autoctona. Molti di loro collaborano con gli italiani ma non riescono a organizzarsi autonomamente, perché gli manca la necessaria struttura religiosa, culturale e famigliare.
“Per un tedesco - prosegue lo Zeit - sarebbe impensabile vivere per decenni nascosto in un bunker sotterraneo. Un sacrificio di questo genere non avrebbe senso per una persona che non proviene da una regione veramente disperata. I trafficanti di droga tedeschi sono deboli, parlano subito e cedono prima che gli italiani. Forse con loro si possono fare affari nella droga e con le armi, riescono ad essere criminali a livello individuale, ma ciò non significa che i tedeschi possano fare concorrenza a organizzazioni italiane che operano a livello mondiale, come neanche gli spagnoli e i francesi”. Beh, essere rivalutati agli occhi del continente che conta per certi “meriti” non è il massimo della soddisfazione.
Un ragazzino di Platì, del resto, sa benissimo che per arrivare in alto nella vita bisogna anche mettere in conto l´ergastolo. Sa che diventare un ‘ndranghetista che ammazza, significa anche poter essere ammazzati. Se non vuole prendere questa strada diventerà, nel migliore dei casi, solo un muratore oppure sarà costretto a lasciare la sua terra. La gente altrove pensa che gli italiani del Sud riflettano a lungo prima di entrare nella mafia, ma in Calabria e in Campania si accettano quei rischi perché ai mafiosi viene promesso un potere quasi illimitato.
Per spiegare questa attitudine indotta, l’autore del dossier pubblicato sul periodico tedesco - che ha origini campane - racconta una breve storia: “quando un boss entra dal barbiere, il cliente che viene servito in quel momento si deve alzare subito per lasciare il suo posto al boss. Sembra assurdo, ma è molto importante. A Milano, Roma o Berlino il boss aspetterebbe come gli altri. Ma a Platí e a Casal di Principe lui pretende questo rispetto. Perché quella sedia liberata per il boss significa che uno farebbe di tutto per lui, anche ammazzare, e il boss sa di poter contare su questa sottomissione assoluta e sul fatto che quasi tutto è di sua proprietà. Adesso un barbiere di Crispani, un piccolo comune dominato della camorra, si è ribellato a questa legge non scritta. Nel suo negozio è entrato un giorno il boss Antonio Cennamo, chiamato «o´malomm» (il cattivo). Un cliente pieno di schiuma da barba si è immediatamente alzato per cedergli il suo posto. Ma il barbiere ha impedito a Antonio Cennamo di occupare la sua poltrona e ha insultato i suoi clienti: «siete solo un branco di pecore senza coraggio, se il signor Cennamo vuole essere servito deve aspettare come tutti gli altri». Il boss si è messo solo a ridere e ha lasciato il negozio, alcuni clienti lo hanno seguito. Poco dopo è stato incendiato il negozio del barbiere. E non solo hanno riempito di botte il coraggioso barbiere, ma lo hanno anche costretto a chiedere scusa a «o´malomm»”.
Ha dovuto chiedere perdono per essere nato. Ha dovuto scusarsi di essere al mondo! Non si sa se questa storia debba far ridere o piangere, ma in alcune zone d’Italia questo è materiale per leggende religiose. E il fatto che proprio in questi giorni si siano registrati analoghi fatti di paura e violenza, di sottomissione e omertà, perfino nell’evoluta Lombardia (la regione italiana con la più alta presenza della ‘ndrangheta) deve metterci in guardia circa i rischi che la nostra società sta correndo. Perché le mafie si sconfiggono innanzitutto sul piano etico e culturale, attraverso i buoni esempi della classe dirigente e del ceto politico e mediante la creazione di nuove opportunità e di alternative, soprattutto per i giovani.
A voi sembra che chi rappresenta in questo momento la politica e le istituzioni (eccezion fatta per l’ultimo “padre nobile” della nostra Patria che risponde al nome di Giorgio Napolitano), chi attacca e delegittima continuamente la magistratura e la Costituzione, chi viola la sacralità dell’istruzione pubblica, chi manda in scena quotidianamente dentro il Palazzo un disgustoso mercimonio, chi ostenta senza pudore il proprio potere e la propria ricchezza facendosi beffe di chi non ha come sfamare i figli, chi invita sistematicamente a ricorrere alla furbizia e ad eludere le regole per affermarsi nella vita, possa vantare la necessaria credibilità e legittimità morale per fornire buoni esempi alla Nazione e per occuparsi responsabilmente dell’avvenire delle nuove generazioni?


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