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Perdersi 'Il capitale umano' è un crimine verso se stessi
Creato il 11 gennaio 2014 da DallenebbiemantovaneFilm dell'anno, e lo ridirò anche tra 11 mesi.
Storia cattivissima, che solo un regista cattivissimo poteva scegliere.
Sceneggiatura qua e là un po' ingenua (troppo comodo trovare il pc della figlia acceso con e-mail scottante e ancora da spedire, no?), che tuttavia nel suo impianto generale fila che è un piacere, emozionandoci fin dai primi istanti con la lunga sequenza muta in cui la cinepresa segue la futura vittima di un incidente notturno.
Ma non è un noir, malgrado qualche apparenza. E' un dramma balzachiano.
Interpreti in stato di grazia, e mi riferisco in particolare a una Bruni Tedeschi mai così adatta ad un ruolo. Perfetti anche i due Fabrizi e l'altra Valeria. Perfetti molti comprimari noti (Gigio Alberti, Luigi Lo Cascio) e meno noti.
Ma la vera rivelazione attoriale del film, e se ne sono già accorti in molti, critici e spettatori, è la giovanissima esordiente Matilde Gioli, dallo sguardo magnetico e dalle energie scattose e nervose, quasi da eroina di action movie.
Da un romanzo Usa ambientato in Connecticut, Virzì trasferisce tutto in Brianza (vi prego di stendere con me un velo pietoso, anzi un sudario, su polemiche di politici incapaci persino di supporre che stanno facendo pubblicità gratuita al regista toscano), e fa benissimo, perché non so voi, ma io avrei avuto qualche difficoltà a trovare credibile la stessa storia, se ambientata nel Parco Nazionale d'Abruzzo o sulle montagne del Sulcis.
Va in scena, apparentemente, lo scontro frontale genitori / figli (i primi non capiscono i secondi), ma anche quello ricchi / poveri (i ricchi sono spietati, i poveri tendono a farsi ingannare), integrati / non integrati (dove i secondi si riconoscono perché vanno dallo psicologo della mutua), forti / deboli (gli uomini sono forti e in gamba, le donne deboli e oche), infine onesti / disonesti (che dovrebbe ricalcare "ricchi / poveri").
Invece no.
Rimontando sadicamente la stessa scena da tre punti di vista diversi, pian pianino il Virzì ci porta a sollevare qualche tappeto e pure qualche interrogativo, tipo: le cose sono sempre come sembrano? Se è vero che giudichiamo gli altri in seven seconds, quanto ci metteremo a capire qualcosa, oltre le apparenze e - appunto - i pregiudizi?
Alla fine emergerà con sconsolante evidenza che in certi giochi nessuno può sia vincere che salvare l'aureola, salvo forse chi rifiutava dall'inizio di partecipare al gioco, come l'ingenua e sprovveduta Roberta.
Ma mentre all'inizio dello spettacolo il finanziere-squalo Giovanni ci fa schifo, l'immobiliarista Dino pena e l'altoborghese Bruni Tedeschi tenerezza, un'ora e mezzo dopo state certi che Dino ci farà infinitamente più schifo dello spietato Giovanni (spietato anche con il figlio, al punto da rifiutare di difenderlo quando è accusato di essere un pirata della strada), e Carla poco meno.
Il buon cinema è così. Riesce a lasciarsi alle spalle gli stereotipi su cui noi stessi campiamo per comodità e sbrigatività, e punta al cuore.
Che cosa è veramente successo quella notte? Chi guidava il Suv?
Sono domande che non interessano più di tanto a Virzì (come ho già scritto, questo non è un noir).
Quel che gli preme è farci notare che abbiamo sbagliato tutte le nostre valutazioni. Che la moglie scema, alla resa dei conti, non era affatto scema. Che la ragazzina viziata, alla prova dei fatti, ha un carattere d'acciaio. Che il finanziere dalla voce baritonale, quando gli vengono i cinque minuti, urla stridulo come una gazza.
Le vere domande che affollano la sua, e la nostra, mente, sono: cosa sarebbero disposti a fare i protagonisti per salvare se stessi o altri? Cosa sarebbero disposti a fare per i soldi?
E, soprattutto, noi, al posto loro, cosa saremmo disposti a fare?
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