Raymond Carver scrive:
mi pare abbiamo anche una grande abbondanza di romanzi e racconti in cui la gente è ridotta a “personaggi” senza nome o comunque poco memorabili,
Si trova nel libro “Niente trucchi da quattro soldi” che ho letto e riletto più volte. Ma come le cose migliori, non smette di sfornare consigli utili e “provocazioni” preziose. Questo ha messo un po’ in crisi la mia idea, perché su questo blog ho ripetuto un’infinità di volte che i personaggi sono importanti, e via discorrendo.
Secondo Carver, sto sbagliando.
La verità non è proprio così. Il termine “persona” deriva dall’etrusco e significa maschera, solo dopo è divenuto il termine con cui indicare un individuo.
Mentre “personaggio” di solito è usato per indicare una persona che si comporta in modo singolare, oppure colui o colei che a teatro o al cinema, interpreta una parte.
Carver aggiunge:
Dopotutto esistono degli assoluti, delle verità, nella vita e faremmo bene a non dimenticarlo.
Il corsivo non è mio, è nel libro.
Probabilmente questa affermazione ha il vantaggio di cogliere nel segno come si dice. Ci sono delle verità, e allora una storia ha a che fare con lavoro, amore, odio, dolore, rabbia, eccetera eccetera. Tutta roba che un autore riconduce a carne e sangue, alle persone appunto. Appare quasi incredibile che un autore considerato minimalista come Carver, dichiari che esistono degli assoluti. Non ci si aspetterebbe niente del genere da un tipo così, vero?
Torniamo a noi.
Immagino che Carver con quell’affermazione abbia desiderato ricordare che la scrittura impone una serie di responsabilità in chi scrive. Oltre alla solita (scrivere con efficacia e valore), ne esiste secondo lui almeno un’altra. Quella che ricorda all’autore che la scrittura ha un effetto su chi legge. Sembra un’ovvietà (ma allora perché tanta letteratura di successo, e diafana? Forse perché diafana, allora arriva al successo?).
Carver critica una certa inclinazione della narrativa a trattare la vita come un abito, che si può dismettere quando si vuole. Allora ecco i personaggi, che possono essere appesi alla cruccia tanto sono deboli. Magari compiono azioni “forti”, hanno una condotta dissoluta e via discorrendo; ma sono ombre, personaggi appunto.
No, afferma Carver; se si agisce in questa maniera c’è il rischio che i sentimenti messi in mostra da quei personaggi, risultino anch’essi semplici accessori. Da indossare o da togliere a seconda delle circostanze.
Invece, la narrativa di un certo tipo deve possedere grande coraggio, e per parlare alle persone deve scrivere di persone. I personaggi sono una scorciatoia, un espediente per togliersi dall’impiccio.
Esistono delle brave persone, delle cattive persone, dei vigliacchi e dei timidi e i loro sentimenti sono forti e veri perché sono appunto persone. Non è possibile sganciare gli uni dalle altre, sono legati a filo doppio. Il tentativo di certa narrativa sembra quello di sostituire il personaggio alla persona perché più semplice da trattare, più simile allo stereotipo.
Mi pare un’interessante spunto di riflessione da proseguire, non so quando né come; ma a mio parere è necessario iniziarla.