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Pio XII e i tentativi di affrontare il nazismo con la diplomazia

Creato il 05 giugno 2013 da Uccronline

Pio XII scrive A livello di opinione pubblica i rapporti tra la Chiesa Cattolica e il regime nazista sono collegati ad una visione manichea tra chi vede in Pacelli il “papa di Hitler” e chi invece lo vuole annoverare tra i Giusti delle Nazioni. Il risultato di questa contrapposizione è stato quello di impedire per molto tempo un serio dibattito storico che avrebbe permesso di collocare il pontefice dell’epoca nel suo giusto ruolo e che invece ha fatto nascere di diverse false visioni sul ruolo di Pio XII (non estranee anche gli stessi ambienti cattolici che dipingono il papa come antitetico al Concilio Vaticano II o attribuendoli un carattere “aristocratico” e distaccato dalla gente).

Quando Pacelli salì al soglio pontificio i rapporti tra la Santa Sede e il governo hitleriano erano tesi al limite a causa delle iniziative intraprese da Pio XI contro il regime nazista (redazione dell’enciclica Mit brennender Sorge, elogio del vescovo di Chicago, George Mundelein, che aveva definito Hitler un pazzo imbianchino, abbandono della città di Roma in occasione della visita del Führer, condanna pubblica dell’antisemitismo, ecc.) e perciò iniziò a cercare una via di compromesso per il bene della Chiesa. In questa trattativa va considerata anche la sua decisione di non pubblicare l’enciclica sull’unità del genere umano che il suo predecessore Pio XI non ebbe il tempo di concludere.

Ciò ha fatto pensare ad alcuni che esistessero divergenze tra i due pontefici riguardo al loro pensiero sul nazismo. È esatto, ma a patto di specificare che esse non riguardavano il giudizio su Hitler per entrambi negativo (lo stesso John Cornwell, autore del “Il papa di Hitler” afferma che Pacelli odiava il dittatore tedesco) ma i mezzi per contrastarlo: Pio XII non voleva arrivare ad una rottura dei rapporti diplomatici con la Germania per il timore delle ricadute che un simile gesto poteva avere. Tuttavia la politica conciliante non avrà alcun effetto e a peggiorare ulteriormente la situazione intervenne lo scoppio della seconda guerra mondiale. Il pontefice aveva inutilmente intrapreso sforzi diplomatici per cercare di evitare il conflitto e, fino al giugno 1940 quando l’Italia andò in guerra, di impedirne la sua estensione.

Pio XII si attenne per tutta la durata bellica ad una via diplomatica e all’atteggiamento di imparzialità che aveva caratterizzato il suo predecessore Benedetto XV durante la prima guerra mondiale. La simpatia del pontefice però andava chiaramente verso gli Alleati e ciò anche per il fatto che la Germania aveva stretto un’alleanza con l’Unione Sovietica tramite il patto Molotov-Ribbentrop. Tracce di condanna della politica aggressiva dei due totalitarismi si poterono trovare nei suoi discorsi: nella sua prima enciclica Summi Puntificatus parlò del “sangue di innumerevoli esseri umani, anche non combattenti, [che] eleva uno straziante lamento sopra una diletta nazione, quale la Polonia”, si espresse contro l’aggressione della Finlandia da parte dell’URSS e inviò tre telegrammi di solidarietà ai sovrani di Belgio, Olanda e Lussemburgo i cui regni erano stati invasi dall’esercito tedesco nonostante la loro neutralità. Quest’ultima azione fu causa di un grave scontro con Mussolini perché il dittatore italiano si stava sempre più legando ad Hitler tanto da considerare quasi un affronto personale ogni attacco contro il suo alleato: l’ambasciatore italiano Dino Alfieri fu mandato a protestare e giunse al punto di paventare a Pio XII la minaccia di «gravi conseguenze» se avesse continuato con la sua politica (minaccia a cui Pacelli seppe rispondere con grande coraggio).

Gli edicolanti dell’Osservatore Romano che avevano pubblicato i messaggi di condanna furono aggrediti e lo stesso papa fu bloccato mentre si trovava in auto da un gruppo di fascisti al grido di “Abbasso il papa! Morte al papa!” (A. Tornielli, Il papa degli ebrei, Bergamo 2002 pp. 139-140). Il pontefice però svolse attività antinaziste ancora più dirette ed è dimostrato dalla sua intercessione presso gli inglesi per appoggiare un complotto della resistenza tedesca per spodestare Hitler. I contatti con i congiurati continueranno anche dopo questo fallito tentativo (in un precedente articolo avevo scritto che Pio XII fu informato dell’Operazione Valchiria, ma la nota a cui facevo riferimento si riferiva ad altri falliti complotti contro il dittatore tedesco anche se forti indizi sembrano indicare che alcuni vescovi non fossero del tutto ignari dell’attentato).
Il 22 giugno 1941 Hitler diede il via all’operazione Barbarossa attaccando di sorpresa la Russia.

È stato più volte affermato che la Santa Sede vedeva nel nazismo un baluardo contro il comunismo e che proprio per questo motivo si deve ricercare la sua renitenza a condannare apertamente il genocidio degli ebrei. Tuttavia dai documenti vaticani si evince che la speranza della Santa Sede fosse che le due dittature si distruggessero a vicenda: se è vero che Stalin stava effettuando feroci persecuzioni antireligiose in nome dell’ateismo di stato, è pur vero che i nazisti stavano propagandando una nuova visione del mondo in cui non ci sarebbe stato posto per il cristianesimo. La resa dei conti con la Chiesa era solamente rimandata al dopoguerra, ma già durante il conflitto si ebbe un ulteriore aumento della persecuzione in Germania: il regime iniziò a catalogare come Gegner (“avversari”) tutte le attività, anche quelle religiose o caritative, della Chiesa Cattolica e della Chiesa Confessante (R. Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Bologna 2002 p. 107). Il pontefice rifiutò sia gli appelli angloamericani per una esplicita denuncia del nazismo, sia quelli italotedeschi per una chiara condanna del comunismo. In definitiva, Pio XII si attenne alla neutralità politica durante la seconda guerra mondiale anche perché auspicava che da entrambe le parti provenissero iniziative di pace che avrebbe voluto sostenere. Verso la fine del conflitto però cominciò a rivolgersi in prevalenza verso le potenze occidentali e in tale prospettiva va a collegarsi il discorso di Natale del 1944 nel quale espresse apprezzamento per la forma di governo democratica.

Un discorso a parte riguarda il suo rapporto con gli ebrei dovuto alla principale accusa di aver taciuto sull’Olocausto. Pur avendo un certo pregiudizio verso l’ebraismo comune a larghi settori ecclesiastici del tempo, provò orrore verso i crimini commessi dai nazisti contro gli ebrei. Il suo “silenzio” riguardante la deportazione degli israeliti era dovuta alla sua scelta d’intervenire tramite la diplomazia. Vi furono alcuni vescovi tedeschi e polacchi che chiesero un atteggiamento meno diplomatico, ma la sua scelta era in realtà dettata dalla ricerca del male minore («Ventresca: “Pio XII, basta con le polemiche!”», Avvenire 10/03/13).

Del resto, il pontefice non restò con le mani in mano e fin dall’inizio delle deportazioni il Vaticano tentò d’influenzare gli stati europei satelliti della Germania che avevano rapporti diretti con la Santa Sede (Slovacchia, Croazia, Romania, Ungheria, Francia) per tentare di arrestare la deportazione o aiutando i perseguitati ad espatriare. Al contempo, Pacelli approvò incondizionatamente le azioni di soccorso organizzate in segreto in favore degli ebrei da alcuni prelati tedeschi come il vescovo di Berlino, von Preysing (nelle cui lettere è testimoniata anche la paura di Pio XII di peggiorare la situazione in caso di una sua pubblica denuncia) e aiutò gli ebrei romani a salvarsi dalla deportazione favorendo il loro nascondiglio nei conventi e nelle proprietà vaticane e protestando tramite reclami diretti o indiretti contro la deportazione. Per la sua attività di salvataggio, la comunità ebraica di Roma affisse nel 1946 sulla parete di un edificio nella quali erano acquartierate le SS, una targa per ringraziare Pio XII per avere aperto le porte delle chiese e aiutato i perseguitati (Rudolf Lill, Il potere dei papi, Roma-Bari 2008 pp. 140-143). È stato rimproverato al papa di non aver saputo fare di più per salvare i perseguitati, ma è importante ricordare che anche altre organizzazioni dell’epoca non seppero fare meglio e forse difficilmente avrebbero potuto farlo perché si trovarono di fronte ad una tragedia molto più terribile di quanto avessero mai potuto immaginare: il dramma di interi popoli soggetti alla tirannia nazista.

Mattia Ferrari


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