Sabato pomeriggio, invece di rimanere a rimirare sconsolata la rotula destra, che proprio non vuole arrendersi alla forza di gravità e persiste a formare il suo triste archetto, ho deciso che era il caso di cambiare aria. E ho fatto benone.
Come avevo scritto qui, durante questo fine settimana si sta svolgendo il primo Lovere Noir, una serie di incontri con autrici ed autori del genere. Comincio con il chiedere perdono per aver scritto che da Lovere si vede il tramonto: gli oriundi mi hanno massacrata, spiegandomi che, data la posizione della cittadina, è improbabile assistere all’evento. Mi appello alla licenza poetica e sono sicura di aver contemplato acque colorate di rosa in alcune occasioni. Forse ero solo più giovane e ammiravo colori felici anche dove non c’erano. Dettagli: oggi pioveva, nessun tramonto a prescindere.
Pioveva talmente che l’incontro in programma all’aperto proprio non si è potuto fare. Quando sono arrivata, l’organizzatrice, che mi conosce da quando avevamo 14 anni, ha impedito che mi mimetizzassi dietro uno scaffale della libreria, mi ha trascinata sotto il tendone del bar accanto e fatta accomodare al tavolo con autrici e amici di autrici che se ne stavano tranquillamente ad aspettare che spiovesse, conversando del più e del meno. Mi sono avvinghiata alla prima sedia libera, ho fatto la timida come di consueto e poi ho cominciato a godermela. Tra gli amici della autrici c’era, se non ho capito male, un ingegnere (evvvai) che ha suggerito di tenere l’incontro nella saletta interna del bar, invece di trasferire armi e bagagli nell’aula delle conferenze, dall’altro lato della cittadina. Questo per dirvi che, se oggi passate di lì e questo schifo di tempo persiste, prima di migrare a Villa Milesi, cacciate il naso al Bar Almici: si sa mai che si riadotti la soluzione logistica.
Bando alle divagazioni: siamo entrati nella saletta e abbiamo ufficialmente inaugurato l’evento. Le due scrittrici, ho scoperto, collaborano spesso e sono molto affiatate: la “conversazione con l’autore” si è trasformata subito in un piacevole duetto, interrotto, a tratti, dagli interventi del mediatore e di un pubblico che è stato immediatamente conquistato dalla verve delle autrici e dal loro piacevole modo di raccontare del proprio lavoro.
Adele Marini è impegnata nella stesura della trilogia “Scrivi Noir. I fondamenti della scrittura di indagini”. I dettagli dell’opera e una breve biografia sono in questa pagina dedicata sul sito della casa editrice. Sempre sulla stessa pagina trovate anche il link a BookRepublic per scaricare gli ebooks: da minimalista ringrazio entrambe le autrici per la scelta di questa forma di pubblicazione. Il primo volume di Scrivi Noir e La contessa di Castiglione, di cui vi dirò tra qualche riga, hanno già preso la via del mio iPad e saranno assimilati durante le vacanze al mare.
Scusate, persisto incorreggibile con le divagazioni, alla faccia del suddetto minimalismo e, già che sono in tema, vi segnalo anche un blog che ho appena scoperto e che analizza la neonata legge sul prezzo del libro.
Dicevamo: Scrivi Noir si propone di fornire agli autori del genere un solido vademecum per districarsi nell’impestato panorama delle procedure giudiziarie italiane. Prima di imbarcarsi nell’avventura di scrivere un libro senza conoscere la materia, Adele Marini ha suggerito di ricordarsi quanto sia importante il concetto di “verosimiglianza” di un testo. Il ragionamento non fa una piega, sia applicato alle paludose acque del codice penale, sia a qualunque altro genere letterario. Il lettore non ha voglia di girare la pagina e proseguire se la storia è sbrindellata. A proposito di lettori: uno dei motivi per cui il genere noir nel nostro paese riscuote successo potrebbe essere dovuto al fatto che, nel libro, si approda sempre ad una soluzione del caso e allo scioglimento del mistero, cosa che, nella realtà, non capita così di frequente: gli omicidi irrisolti invadono per anni le pagine dei giornali. Voi cosa ne pensate?
Tra gli altri consigli che mi sono appuntata ce ne sono di molto utili: come rendere una storia interessante evitando di farcirla di troppi particolari all’inizio per poi lasciarla vuota nei capitoli successivi, come non correre il rischio di sovrabbondare con citazioni letterarie, limitandosi a lasciarle cadere, qua e là, in leggere pennellate di sfondo, come caratterizzare i personaggi con sfumature di grigio invece di optare per i classici antagonisti troppo cattivo/troppo buono, come curare l’ambientazione, come scrivere i dialoghi (aaargh, i dialoghi, che bestia nera), come rispettare i tempi narrativi.
Quando Adele Marini ha parlato di contestualizzazione verosimile delle storie, ha citato ad esempio la differenza che ci deve essere, perché risulti credibile, tra l’interazione maggiormente caratterizzata dall’indifferenza degli inquilini di un caseggiato metropolitano rispetto a quanto potrebbe succedere nello stesso caseggiato calato nella dinamica più socievole della vita di provincia. Ho pensato ai Ritratti di Ringhiera e ho immediatamente saputo che gli abitanti della casa sono inguaribili ficcanaso.
La seconda parte dell’incontro è iniziata con un indovinello. Cosa è l’oggetto al collo di Patrizia Debicke? La risposta nella II parte di questo post, che non segue nessuna delle regole di buona scrittura e continua imperterrito ad andare per fragole.