La lunga carriera di Giovanni Bellini, relativamente ben documentata nella parte finale, dopo il 1500 circa, lo è molto meno per le fasi iniziali. L’avvio della carriera del pittore, famoso anche con il nome Giambellino, – cardine imprescindibile su cui strutturate lo sviluppo della pittura del nord Italia nella seconda metà del Quattrocento – può essere ricostruita su basi squisitamente filologiche, dalla più antica opera datata rimastaci, la Madonna degli Albereti, segnata 1487 e ora alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, quando l’artista era ormai ultracinquantenne.
Nella storia dell’arte i maestri in grado di innovare il corso degli eventi e, insieme, mutare profondamente la propria indole pittorica sono stati rarissimi. Tra questi, Giovanni Bellini ha il posto d’onore: Roberto Longhi nel suo Viatico compendia la carriera di “uno dei grandi poeti d’Italia”, proponendolo “prima bizantino e gotico, poi mantegnesco e padovano, poi sulle tracce di Piero e di Antonello, in ultimo fin giorgionesco”. Una lettura sovente interpretata come rapporto cronologico in cui la precedenza non è mai assegnata al veneziano così che, paradossalmente, la ricezione dell’arte altissima è stata a lungo appannata dal calcolo della partita doppia con i grandi maestri del suo tempo. Ma invece, per un sessantennio, Giovanni Bellini è il fulcro di quell’originale rinnovamento, culla originaria di un linguaggio autonomo, che disordina Venezia e la sua arte, permettendole poi di primeggiare a livello internazionale con una nuova poetica che ha fatto proprio e rielaborato il primo rinascimento fiorentino e l’esperienza lombarda, traducendoli in un idioma compiutamente “italiano”.
Così Giovanni Bellini diventa l’artista che ha compiuto la prima vera unificazione linguistica “nazionale”, con un’arte di intrinseca bellezza per se stessa, ma comprensibile a tutti, al di là delle divergenze stilistiche locali, tanto da imporsi come ineliminabile punto di riferimento. E’ lui, prima di Leonardo, il grande inventore della rappresentazione dei sentimenti e della natura, offrendoci opere di straordinaria poesia in paesaggi che riassumono tutto ciò che fino allora si era visto in Italia e in Europa, con la figura umana immersa totalmente nello spazio circostante in commoventi, sentitissime rappresentazioni. Tutte intimamente veneziane nella morbidezza della luce, nel realismo sobrio degli uomini e delle donne, nel gusto per i particolari vegetali colti in singola identità botanica.
testo tratto da: TRIBENET