In effetti, dopo il percorso di Maastricht che ha portato all'Euro (deciso da un'altra generazione di politici, che avevano vissuto la seconda guerra mondiale, e poi la CECA, la CEE e così via), e l'allargamento fortemente voluto dalla Presidenza Prodi, si è assistito ad un'evidente frenata del percorso comunitario. La lunga e incresciosa storia del trattato prima di Roma poi di Lisbona, frutto più di compromessi al ribasso e temporeggiamenti, un passo avanti e due indietro, che di un autentico slancio costituente, dimostra che i nuovi leader europei, e forse gli stessi cittadini del continente, provano nostalgia per i poteri degli stati nazionali. A dominare è senza dubbio la paura. Che si tratti dell'idraulico polacco o del clandestino libico, della badante rumena o dell'imam turco, si reagisce puntando i piedi, come se si potesse, davvero, tornare indietro. Si scopre che non siamo soli, che ci sono le migrazioni, la globalizzazione, che la Ue ormai è uno spazio enorme, che raggiunge l'Est europeo (si spera, presto, i Balcani), e lambisce il Medio Oriente, che si affaccia su un Mediterraneo in cui i dispotismi, almeno in alcuni casi, sono rovesciati a favore della democrazia da un movimento di giovani che hanno studiato e usano internet, senza trasformarsi in fondamentalismo. Che per molti il sogno europeo, come culla della libertà di tutti e di ciascuni, è un ideale, un modello. Per molti, ma, pare, non più per noi.E' una vecchia storia, forse. Nel suo saggio sulla storia dell'idea di Europa, Federico Chabod mostrava come già l'Illuminismo avesse ravvisato la discrepanza tra i nobili principi europei e il fatto che "il modo con cui i governanti europei cercano di applicare, soprattutto nelle relazioni internazionali, le massime della esecrabile "ragion di Stato", è causa di gravi mali all'Europa: difetto, insomma, di applicazione dovuto alla corruttela degli uomini."
L'Unione Europea si trova ad un bivio. Può continuare così, non credendo in se stessa, nominando presidenti di organismi pletorici figure di secondo piano, perché tanto poi "decidono i Grandi"; può seguitare a destinare la maggior parte del proprio bilancio alla difesa protezionistica dell'agricoltura europea, che ha il suo peso nella situazione economica di tanti paesi in via di sviluppo che genera quella stessa emigrazione che si vuole respingere; può ancora essere il teatro di grandeur assortite, di primedonne à la Sarkozy, à la Merkel, ovviamente à la Berlusconi, che rivendicano primazie del buon tempo andato ma destinate ad esaurirsi; può far leva sulle paure di un elettorato che si butta tra le braccia di movimenti xenofobi, antineuropei, razzisti; può, insomma, morire di inedia, lentamente.
Oppure può, da questa crisi, trovare nuove energie, scoperchiando finalmente il certo complesso, arduo, ma irrinunciabile percorso che porta ad una vera unione: una difesa comune (come già pensava De Gasperi: altro che eserciti regionali italiani!) ma soprattutto una politica comune, interna ed estera, nella sua globalità. Via le inutili sovrapposizioni tra Commissione, Consiglio, Presidenza dell'Unione, un governo europeo più snello, un parlamento più forte. Il che significa, ovviamente, una devoluzione di poteri dagli stati nazionali. L'Europa c'è già, nei fatti. A più di vent'anni dalla nascita del Programma Erasmus e di molte altre iniziative, i giovani europei sono mille miglia lontani dalle divisioni nazionali che consumarono le generazioni dei nostri nonni e bisnonni. Occorre riscoprire, dunque, il sogno originario di Spinelli e Rossi, quegli Stati Uniti d'Europa che così immaginavano:
[...Gli] Stati Uniti d'Europa [...] non possono poggiare che sulla costituzione repubblicana di tutti i paesi federali. E quando, superando l'orizzonte del Vecchio Continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l'umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazioen Europea è l'unica concepibile garanzia che i rapporti con i paesi asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l'unità politica dell'intero globo.
Ernesto Rossi e Altiero Spinelli con Luigi Einaudi
da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com