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Poteri senza intelletti, poteri morti

Creato il 27 gennaio 2013 da Sulromanzo

[Articolo di Leonardo Palmisano pubblicato sulla Webzine Sul Romanzo n. 5/2012 Intellettuali e Potere]

L’indolenza parassitaria dei sessantottini e dei settantasettini.

Intellettuali, potere
Egemonia e potere sono termini distanti quanto mai prima di adesso nella storia delle democrazie occidentali. È pura utopia pensare che si possa nuovamente coniugare il Potere – quello vero, che tocca ciascuno, che incute timore nel tempo e nello spazio, come ci insegna Popitz nel suo Fenomenologia del potere – con un’egemonia reale. La spersonalizzazione dei consumi, la massificazione delle abitudini e la finta pluralità delle scelte sono il sintomo di una malattia che sta devastando le democrazie: la resistenza multiforme e violenta del Potere oltre le epoche delle egemonie democratiche e molto oltre l’assenteismo degli intellettuali. Massimiliano Panarari, leggendo il ventennio berlusconiano, ha parlato di Egemonia sottoculturale, come anche Valerio Magrelli nel suo Sessantotto realizzato da Mediaset. Due lavori usciti a poca distanza, mentre si consumava l’epilogo, la sfiammata di Berlusconi, l’ultimo potente con un po’ d’egemonia e qualche intellettuale intorno. Adesso, nel vuoto assoluto e nel pieno di demenza che vive l’Italia, non c’è più spazio per un’egemonia intellettuale, perché non c’è più una corte, perché non può esservi egemonia senza uno spazio da riempire, un teatro dove la pantomima dell’esercizio del potere viene studiata a tavolino da cortigiani e consiglieri, giullari, filosofi e poeti. Non si tratta di uno spazio qualunque – di quello ce n’è fin troppo, dove muoversi nell’illusione della libertà liberata dallo Stato e dalle sue regole, come in Tv – ma di uno spazio reale (di piazza!) per la costruzione di strategie culturali, di sistemi, di articolazioni, di  dispositivi e, soprattutto, di apparati e paradigmi per tutti. Allora si oscilla – noi stupide cavie italiane – tra il pessimismo del presente e l’ottimismo del passato, quando, in verità, proprio nel nostro passato recente – nel ‘68 e nel ‘77 – ha origine quell’indolenza parassitaria che ha smantellato le egemonie  intellettuali democratiche e ha conseguentemente moltiplicato i centri del potere politico fino a rendere il potere stesso anonimo, incompressibile, inafferrabile, frantumato, liquido (per dirla con Bauman), clientelare, prostituzionale: ergo inattaccabile a viso aperto perché già morto. Non è casuale che una nuova gemma del defunto potere politico, Matteo Renzi, usi il verbo post-industriale “rottamare” per appellarsi ai nuovi poteri finanziari, anti-industriali per definizione: per ridurre la democrazia ad ancella della finanza. E non è casuale che a difendere quel che resta del cimitero della democrazia italiana siano soprattutto sessantottini e settantasettini imbolsiti dalla ricchezza, dallo spreco, dall’arroganza e da quell’indolenza provinciale che contraddistingue quella terribile generazione di ex-potenti e nuovi impotenti. In tutto questo, quale spazio può avere ancora l’intellettuale?

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