Ecco l’intervista a “Gayburg” sui 15 anni di “Pride.
—
È attraverso una copertina celebrativa che Pride sta festeggiando il suo 15° compleanno. Distribuito gratuitamente in numerosi locali gay e gay-friendly, si tratta del mensile gay cartaceo con la più ampia tiratura d’Italia.
Fondata nel 1998 da Roberto Schena, la rivista è stata diretta sino al 2008 da Giovanni Dall’Orto, uno scrittore e giornalista proveniente dalla redazione di “Babilonia”. Nel tempo le sue pagine hanno ospitato i contributi di firme come Gianni Rossi Barilli, Platinette, Francesco Gnerre, GiovanBattista Brambilla, Vincenzo Patanè e Andrea Pini. Dal 2008 al settembre del 2013 le redini del giornale sono state affidate a Gianni Rossi Barilli, mentre dall’ottobre 2013 il direttore è Stefano Bolognini. Ed è proprio lui che abbiamo incontrato per parlare dell’importante traguardo raggiunto.
Pride festeggia 15 anni. Che cosa significa per te questo traguardo?
Quindici anni per una pubblicazione gay cartacea rappresentano un piccolo, grande traguardo, soprattutto in un momento enorme crisi per tutta la stampa e di sofferenza anche per media gay virtuali. Sono soddisfatto: quando un anno fa ho accettato di dirigere la rivista non era scontato che arrivassimo fin qui. E la scelta di renderla disponibile anche on line, che, con il numero di novembre, ha raddoppiato il numero di lettori, dimostra che è vivace la richiesta di informazione e approfondimento sui temi lgbt. Ma visto che il futuro della stampa in genere non è, per ora, immaginabile resta un solo obiettivo e cioè fare tutto il possibile per non spegnere una voce che racconta l’omosessualità. Sarebbe una grave perdita.
Editorialmente parlando, quali sono le scelte che rendono “gay” una pubblicazione?
Scriviamo da gay, di gay e per gay. Il panorama è cambiato e oggi i media generalisti raccontano anche l’omosessualità. Spessissimo purtroppo manca loro un punto di vista dall’interno. È sbagliato, per esempio, chiedere conto dei diritti gay solo ai cardinali e non ai diretti interessati. Siamo poi ancora a un giornalismo che si commuove per il coming out in famiglia. È giusto ovviamente, ma su questo abbiamo dato e ci sono novità e approfondimenti che la stampa ignora. Se ci commuoviamo oggi è per le nonne e i nonni che hanno nipotini grazie ai loro figli gay che hanno scelto il percorso dell’omogenitorialità. Dov’è poi il dibattito sulla stampa in genere su come ostacolare le spinte antigay delle destre e dei leghisti? Dove possiamo poi leggere l’esperienza delle nostre notti nei locali del sesso? L’idea alla quale si ispira la stampa gay al suo esordio è quella di liberare il profondo senso di bellezza che c’è nella parola omosessualità. E siamo ancora molto lontani dall’esserci riusciti.
Alcuni detrattori sostengono che le pubblicazioni gay possano creare ghettizzazione. Condividi questa tesi?
Una rivista di giardinaggio, un saggio di fantascienza o un mensile ad uso esclusivo degli amanti di scacchi ghettizza i suoi lettori? La teoria del ghetto è un facile ritornello che si ripete senza uno straccio di analisi sul suo significato. Le pubblicazioni gay sono un luogo nel quale una comunità di persone condivide interessi comuni insieme a proposte culturali e di diritti umani. Solo chi non ci considera una comunità, e ci vorrebbe soli e isolati, può definire ghetto il dibattito e gli argomenti che proponiamo. Certo non è ghettizzante, per semplificare, l’intervista che pubblicheremo a gennaio al noto vaticanista Marco Politi sul rapporto tra chiesa, papa Francesco e omosessualità. Mi auguro solo che sia in grado di indagare più e meglio dei contributi della stampa generalista, che hanno semplificato molto sostenendo che la Chiesa ha ormai aperto agli omosessuali, la questione anche sulla base di anni di dibattito che conosciamo da molto vicino.
Da anni si parla di una crisi dell’editoria italiana ed anche molte riviste gay ne sono state colpite. Cinque milioni di abitanti dichiarano di non leggere giornali o riviste e gli esperti lamentano un mancato ricambio generazionale fra i lettori. Credi che sia una situazione irreversibile?
No, ogni rivoluzione della stampa ha creato più lettori e scrittori. Sul web leggiamo e scriviamo di più anche solo scorrendo i post di Facebook. E questo è un bene. Non si leggono i giornali, ma è anche una loro colpa vista l’enorme parzialità nel raccontare i fatti. La stampa italiana ha un’enorme problema di prossimità ai partiti, e ne è anche direttamente o indirettamente finanziata. La realtà non è più nei quotidiani ma è altrove. Chi ha scelto di raccontare altro ha desertificato le edicole. Non mancano i lettori in Italia, manca un pluralismo informativo slegato dai comunicati stampa di partiti e associazioni.
Ritieni che la carta stampata sia un doppione del web o le due cose possano risultare complementari?
I costi del web sono infinitesimali rispetto a quelli della stampa. Immagino che il futuro ci riserverà ancora più web di quello che stiamo masticando oggi. Il cartaceo non morirà, anche solo per conservare testi di valore.
Siamo in una fase intermedia e per Pride, che esce il primo del mese, mi sono posto il problema dell’invecchiamento delle notizie e della simultanea rapidità del web. Ho chiesto ai collaboratori di affrontare argomenti che anticipino i contenuti del web o che non esistano in rete e, rispetto al passato, stiamo provando a offrire più analisi e commenti piuttosto che cronaca. Senza dimenticare contenuti più leggeri ma non per forza acchiappa “mi piace” e le proposte culturali.
Questa cosa non può essere equivalente sul web su cui passa per lo più la notizia del giorno perché il Pride cartaceo può pagare, grazie alla pubblicità, esperti. Non c’è informazione di qualità se non siamo disposti a pagare. Anche poco. Il problema del web è che, per ora, nessuno sembra intenzionato a pagare le informazioni.
A tuo parere, com’è cambiato il movimento lgbt italiano negli ultimi 15 anni?
Oggi il movimento lgbt restituisce esattamente, come in uno specchio, l’immagine di quest’Italia in perenne crisi. Ma per il movimento non è una crisi di crescita. Quello di oggi ha esaurito il suo compito, pur non ottenendo risultati tangibili in termini di leggi, e cioè far uscire l’omosessualità dall’invisibilità e porre il problema dei diritti in ambito nazionale. È un risultato straordinario di cui va dato merito ai tanti che si sono impegnati.
Più voci che ho ospitato su Pride immaginano di voltare pagina e rifondare il movimento. Non è un’operazione da fare però a tavolino, ma sono convinto che da questo movimento al capolinea emergerà qualcosa di assolutamente nuovo. Guardo con interesse l’esperienza dei Sentinelli scesi in piazza in ordine sparso contro l’omofobia delle Sentinelle in Piedi rispondendo, in qualche modo, a un movimento pigro e cementando su dinamiche ormai istituzionali. Si stanno coordinando sul web e questa è una novità. Sono vitali poi gruppi sportivi, canori e che offrono socializzazione alternativa alle persone lgbt. Insomma, il futuro ci riserverà sorprese, e notizie da raccontare su Pride…
Fonte: http://gayburg.blogspot.com/2014/12/pride-festeggia-i-suoi-15-anni.html#ixzz3M9UsZ33m