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Prima che il gallo canti

Da Miwako
Non avevo mai riflettuto sul fatto che il brusio degli uffici pubblici avesse carattere universale.La pioggia, quando cade, fa lo stesso rumore qui, in Norvegia come in Messico.Allo stesso modo, il colorito vociare, i telefoni che squillano, i piedi che si rincorrono lungo i corridoi marmati, il tonfo sordo dei timbri su carta monogrammata, sono gli stessi. Qui, in Norvegia come in Messico.Tocca a me; lo dice quel cartoncino con su scritto Mlle. S., h 8:30. Un ragazzo gentile, con la faccia da tecnino informatico di una scuola superiore prettamente femminile mi fa accomodare e mi spiega, passo passo, quello che devo fare. Io compilo, lui fotocopia. Tre volte. La famigerata documentazione in triplice copia.Finisce il toner sul più bello. Allora, mentre lui è intento a cambiarlo, mi distraggo e inizio a guardarmi intonro.Il calendario è rimasto fermo a Febbraio.I muri sono ingialliti.Le tazze vicino alla macchina del caffè, rigorosamente sbeccate, raccontano di una quotidianità più umana e meno burocratica. La stampa di un dipinto alle pareti, probabilmente famoso ma che non riesco a riconoscere. Armadietti di metallo semiaperti se ne stanno in fila contro la parete alla mia destra, con pile di documenti acchiocciati l'uno accanto all'altro, sopra l'altro, addosso all'altro.Tre colpi, tre timbri sulla santissima trinità delle scartoffie per aspiranti residenti.Firmo tre volte (ovviamente prima che il gallo canti), e penso che mi fa un po' effetto. Prendere la residenza in un altro Paese.Prima il lavoro, poi la casa, le abitudini che si consolidano, la strade, i volti, le cose che sedimentano nella memoria e in fondo alla pancia. E poi la residenza.All'estero.Il prossimo passo sarà aprire un conto e farmi l'assicurazione sanitaria.Probabile mi ritroverò di nuovo a firmare, nello sconfinato e inchiostrato universo delle triplici copie. Ma non mi farà lo stesso effetto.
Faccio notare al tecnico informatico di una scuola superiore prettamente femminile che siamo già a Marzo; lui mi risponde che loro sono nostalgici. Rido per il suo acume e perché, mentre lo dice, non fa nemmeno un sorriso. Rompiamo la triplice alleanze, due copie a lui e una a me.Saluto, ringrazio ed esco in stradaImbocco la via gialla e scendo in direzione della chiesa, con la mia singola copia tra le mani e lame di sole che s'infilano sbieche tra gli edifici.Decido di fermarmi al cafè du peuple. Il proprietario mi riconosce, mi chiede che ci faccio da quelle parti di mattina, io rispondo dicendo che sono ufficialmente un'abitante di S.J.; "Sentito cara? Abbiamo una nuova cittadina!" sposta gli occhi da quelli della moglie dietro il bancone e mi guarda: "Con cosa festeggiamo, un caffé?"Annuisco e sorrido.Mi siedo. Il caffè caldo tra le mani, la luce incredibile di questo primo giorno di quasi primavera, le vetrate al posto delle pareti, gravide del giorno più pieno, e fuori gli abitanti di questa piccola commune, la più piccola di Bruxelles, che vanno e vengono.Io resto.Per un po'.

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