Magazine Diario personale

Pulezzastivale

Da Antonio

Lustrascarpe, altrimenti detto “pulimmo”. La tradizione orale data nel 1806 la nascita del mestiere, quando un facchino lucidò per ossequienza gli stivali di un generale francese e ne fu ricompensato con una moneta d’oro. La leggenda dice che un lustrascarpe fu ammesso a Corte per insegnare la sua arte a un Re di Napoli.

Gli ambulanti avevano una cassetta a tracolla, con il coperchio contrassegnato da due sagome di legno e sui poggiare i piedi in alternanza; e vernici, spazzole e strofinacci all’interno. Quelli a posto fisso presidiavano enormi poltrone, quasi dei troni, con cromature dorate e tappezzeria di velluto rosso. Tutti erano orgogliosi di misture personali, con mescole speciali per quelle di camoscio.

Mastriani decise la giornata tipo di un pulezzastivale, dalle otto del mattino alle otto di sera, tranne una breve pausa a mezzogiorno per la colazione. Si stabilivano soprattutto agli angoli dei caffè; i locali più accorsati ne ospitavano addirittura due. Nell’immediato dopoguerra, quando Napoli liberata e corrotta era occupata dai militari alleati, comparvero gli “sciuscià” – dall’inglese “shoe shine”, pulire scarpe, – laceri scugnizzi che offrivano insistentemente i loro servigi. Nelle cassette gli sciuscià non tenevano soltanto spazzole e cromatine, bensì copie dee giornali per le truppe americane, gomme da masticare, poveri dolciumi, souvenir di pessimo gusto…Gli sciuscià svanirono allorché la città tornò a una normalità volgare – politica e sociale – che risucchiò tutta la speranza di quei giorni crudeli ma eroici.

Agli inizi degli anni ’50, i pulezzastivale a Napoli erano più di mille. Sono svaniti uno dopo l’altro. Di quella schiera ne rimane uno (solo?) che fa servizio su via Toledo, di fronte all’ingresso della Galleria Umberto I.



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