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Quando il linguaggio è ‘liberatorio’

Da Jessi

Usare un termine o un altro può fare la differenza, ne abbiamo tutti coscienza, ma fino a che punto siamo coscienti di tutte le forme linguistiche che utilizziamo? fino a che punto ci rendiamo conto che le espressioni del linguaggio e gli usi comunicativi che ereditiamo dalle generazioni che ci precedono servono per ‘tramandare’ una specifica visione del mondo – visione che potremmo anche non condividere del tutto?

Una pubblicazione recente ha discusso di linguistica pragmatica emancipatoria: un termine complesso che vuole  dire, in sintesi, che la riflessione sul linguaggio può aiutarci a capire che quando parliamo faccio uso di forme linguistiche che possono influire su chi siamo e su come ci rapportiamo agli altri e alla cultura che ci sta intorno.

La linguistica pragmatica emancipatoria si propone  questo: diffondere pratiche educative che servano a ‘smascherare’ cosa facciamo quando parliamo in un certo modo e cosa potremmo fare per cambiare le cose a partire da un cambiamento nel linguaggio. L’esempio che troviamo negli atti del convegno è questo: poniamo di dover presentare la intervento decisione di un’azione bellica ai cittadini. Se uso il termine RTI RIght to Interfere (Diritto di interferire) uso forse un’espressione corretta e comprensibile, ma poco convincente. Se uso il termine  RTP Responsability to protect, presento l’azione da una doversa prospettiva, forse meno veritiera ma più facilmente accettabile. Chi parla in questo caso usa con sapienza e, potremmo dire, malafede, la sua coscienza linguistica.  Come cittadini, siamo sempre in grado di smascherare in modo immediato la scelta fatta? siamo in grado di capire il meccanismo di scelta linguistica o accettiamo la seconda etichetta come se descrivesse realmente un diverso progetto strategico? L’ambito disciplinare di cui stiamo parlando si propone di diffondere l’educazione linguistica in ottica emancipatoria, fornendo strumenti per usare il linguaggio “in a non-oppressive, even liberating way” (J. L. Mey 2012:706).

Quali sono a vostro avviso usi ‘oppressivi’, discriminatori e ingannevoli della nostra lingua? Quali sono le vostre pratiche liberatorie? Avete suggerimenti per approfondire il tema con le bambine e i bambini?

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