Magazine Società

Quella in Ucraina è anche la mia guerra

Creato il 22 marzo 2014 da Davideciaccia @FailCaffe

Avevamo chiesto a Francesca Leonardi un breve aggiornamento sugli umori a Donetsk (Ucraina est) dopo il referendum di annessione della Crimea alla Russia. Ci ha regalato molto di più: una storia da leggere tutta d’un sorso, senza prender fiato, da mandar giù amara così com’è. Oggi il caffè lo beviamo senza zucchero.

di Francesca Leonardi

splatter

Il referendum altro non è che una farsa. Ma davvero si può credere che il 97% della popolazione abbia votato a favore della Russia? Risultati così alti erano possibili solo in Unione Sovietica ai tempi di Stalin.

Basta poi guardare all’attività di monitoraggio elettorale. Dall’Italia è stato chiamato Fabrizio Bertot, PDL, ex sindaco di Rivarolo (Torino), comune poi sciolto per infiltrazioni con la ‘ndrangheta e per questo espulso dalle Parlamentari Europee 2014. Bertot ha fatto parte di una  compagnia di osservatori nazisti, stalinisti, antisemiti, separatisti e putiniani raggruppati per questa messa in scena. Non sono invece stati ammessi osservatori dell’ONU e OSCE.

Per non parlare dei giornalisti. Alla vigilia del referendum, a Simferopol, “sconosciuti” (militari) armati a viso coperto hanno fatto irruzione nell’hotel “Moskva” dove alloggiavano molti giornalisti (e osservatori elettorali). Li hanno perquisiti e a molti hanno o sottratto o distrutto il loro materiale.  Il capo della polizia, poi intervenuto, ha lasciato tranquillamente andare via i militari russi (chiamati “omini in verde” perché non portano nessun segno identificativo su divisa, galloni o spalline). Si capisce che se non sono identificati non devono rispondere a nessuno e nessuna delle proprie azioni. Alle domande dei giornalisti, per la maggior parte stranieri, spaventati e interdetti, il capo della polizia ha risposto che la situazione in città era tranquilla, e che non era in grado di fornire informazioni sull’identità di quelle persone, definendole “gente normale”. Ha poi aggiunto di non poter assicurare che il materiale a loro sottratto potesse essere restituito. E questo non è un caso isolato.. se ne contano decine. I giornalisti non sono stati [e non sono più] liberi di lavorare in Crimea, ma vengono impauriti, minacciati e picchiati.

La popolazione non ha avuto modo di poter scegliere liberamente. Ma come si può scegliere liberamente quando si è circondati da gente armata, e come si può scegliere se far parte di uno Stato o di un altro in uno spazio di tempo così limitato? Molti sono stati minacciati di essere licenziati in caso non avessero scelto la Russia. Molti hanno avuto paura di dire di essere a favore dell’Ucraina per non perdere ogni diritto. Chi in Crimea non è a favore della Russia è accusato di fascismo, identificato come criminale, drogato, bandito. Un ruolo fondamentale ha giocato la propaganda e la retorica, la disinformazione. Chi non è con la Russia, è dalla parte del fascismo.

Le immagini che vedete in tv (gente felice che festeggia) fanno parte di una grande guerra di informazione messa in atto dalla Russia. Non una parola è stata spesa per quelle famiglie che sono scappate e si sono rifugiate nelle città occidentali, soprattutto a L’vov. Hanno spazio e voce solo i filo-russi, i separatisti, mentre quella grande fetta di insoddisfatti non viene assolutamente considerata. Chi è rimasto, sperando che Maidan non sia stato invano, sa che sarà disciminato e che non sarà facile mantenere l’automia di pensiero e opinioni.

Quando ne parlo con i miei amici e la mia famiglia in Italia mi rendo conto di quanto sia difficile per loro capire questi giochi, queste macchinazioni.  Mia madre mi ha telefonato e un po’ esitante, mi ha chiesto: “ma perché l’adesione alla Russia per te è una catastrofe?? Sono tutti felici!” Dall’Italia mi dicono: “non è la tua guerra, perché ti preoccupi, perché la prendi così a cuore?”, e soprattutto, “perché non torni?” Ma davvero è una questione di passaporto? E’ anche la mia guerra perché io vivo qui, anche se solo da un anno, e il mio ragazzo è ucraino, era a manifestare a Kiev, era a manifestare a Donetsk e non è un fascista, e io non mi stancherò mai di ripetere che questa dei fascisti che minacciano la stabilità dell’Ucraina non è altro che una tattica, un pretesto per legittimare l’intervento russo e fomentare il separatismo. A credere alle immagini che vengono passate dalla tv russa, Donetsk è una città INTERAMENTE schierata a favore dell’adesione alla Russia.

Subito dopo le Olimpiadi a Sochi, Putin ha iniziato a diffondere il virus dell’avanzata dei banderovzi verso est. Essi sono i cd. “fascisti dell’ovest”, la cui denominazione deriva da Banderas, politico, ideologo e nazionalista ucraino che negli anni ’40 si è alleato con l’esercito nazista per liberare l’Ucraina dal comunismo. E’ stato poi assassinato per ordine del governo sovietico vent’anni dopo. La regione di Donetsk (come pure le altre circostanti) deve essere difesa dall’epidemia fascista, dice Putin, bisogna difendere i russofoni della regione i cui diritti potrebbero essere messi a rischio e calpestati dagli estremisti di destra. Per realizzare questo, la città- come fosse un palcoscenico di quei talk-show che in Italia piacciono tanto- è stata letteralmente riempita di neo-fascisti russi e ucraini e di criminali raccolti da divese località dell’oblast (regione, in ucraino) e da altri oblast circostanti, in particolare da quello di Lugansk. Sicuramente tra loro ci sono anche “semplici” sostenitori di Putin, non ho nessuna notizia per poter affermare il contrario. Queste persone vengono pagate per affollare le piazze, urlare il loro supporto a Putin, applaudire a richiesta e inneggiare alla Russia. Le piazze, le strade, sono realmente PIENE zeppe di criminali assoldati che sventolano bandiere russe e cartelloni scritti dalla stessa mano. E l’aria è piena di bestemmie, volgarità e puzza d’alcool.

017
Qualche giorno fa, guardando uno dei tanti video postati su Facebook di una manifestazione degli “occupanti” (così sono chiamati qui i filo-russi separatisti da chi invece si schiera per l’integrità del paese e contro l’aggressione e l’aggressività russa), ho riconosciuto il mio vicino di casa, attivo sostenitore di Putin. Ero scioccata. Alla fine dell’estate i miei coinquilini l’hanno trovato in casa semi-morto per overdose. E’ anche grazie a loro se ora è libero di urlare in piazza Lenin e inveire contro i fascisti immaginari. Quando in autunno ci siamo trovati a casa sua perché “si sente solo”, oltre a racconti di sbronze e droga, non ha mai sfiorato, tra un cicchetto di vodka e l’altro, un argomento a sfondo politico o sociale. E ora, a pochi, pochissimi, mesi di distanza si è scoperto un attivista.

Questa gente ha assediato la città in modo permanente. Ripetutamente, con la forza, hanno occupato gli uffici l’amministrazione regionale e le sedi dei servizi speciali della città, da dove hanno affisso la bandiera russa e hanno rimosso quella ucraina, nei casi peggiori l’hanno bruciata. La polizia ogni volta li arrestava e dopo poco li rilasciava sotto pressione dei fedeli tovorishi. Hanno organizzato meeting, manifestazioni e marce (anche non autorizzate) provocando danni alla città, arrecando problemi al traffico ma soprattutto creando uno stato di terrore.

Qualche settimana fa, all’uscita da lavoro, stavo attraversando la strada quando ho visto un branco di gente che urlava. Dopo aver bloccato il traffico, cercavano di ribaltare un autobus, gridavano e  imprecavano contro la polizia e nel frattempo lanciavano pietre dalla loro parte. La gente scappava impaurita dagli autobus fermi. Guardavo la scena basita insieme ad altri spettatori incredubili. Me ne sono andata quando lo show non era ancora finito, trascinata dalle mie studentesse preoccupate di “mettermi in salvo”. Poi ho saputo che erano i filo-russi che esigevano la scarcerazione del loro leader (un certo Gubarev, ora ancora in carcere) e di altri loro compagni che precedentemente avevano, come al solito, cercato di occupare le sedi dell’amministrazione regionale e per questo finiti in carcere.

Ma il peggio di loro l’hanno dato in occasione dei meeting e degli eventi organizzati dai filo-ucraini in nome della pace, del dialogo, dell’Ucraina unita e contro l’ingerenza russa. E’ stato possibile organizzare un solo grande meeting che è andato a buon fine, quello del 4 marzo, a cui hanno partecipato 2.000 persone e dove non ci sono state provocazioni né scontri tra i filo-ucraini e i filo-russi.  In un’atmosfera festosa e pacifica sventolavano le bandiere gialle e azzurre, sulla scia dello scambio continuo di opinioni, di pensieri e di speranze. Nessuno si aspettava una quantità di adesioni così elevate. Su Facebook e ‘vkontakt’ si leggevano commenti di concittadini che, entusiasti e increduli, si congratulavano l’un l’altro e scrivevano “Donetsk, ora ti riconosco!”, “Questa è la città che voglio!”, “Donetsk, finalmente ti sei svegliata!”. Era una primavera anticipata, si respirava un’aria di risveglio.

donetsk
Il Comitato organizzativo per la pace e per l’integrità dell’Ucraina, incraggiato dal successo del 4 marzo, ha poi indetto un nuovo meeting per il giorno successivo. Circa 10.000 donchani (abitanti di Donetsk) hanno invece partecipato al meeting del 5 marzo. Parallelamente, in Piazza Lenin, si sono radunati anche i filo-russi, che fin dall’inizio hanno iniziato a lanciare uova e pietre dalla nostra parte (a questo meeting ho partecipato anche io). La polizia cercava di tenere divise le due parti formando una cordone nel mezzo. Ma loro si avvicinavano sempre di più, minacciosi. Ci hanno scaraventato addosso una valanga di insulti e di volgarità, senza risparmiarsi calci, pugni e spinte. Ci strappavano di mano le bandiere e i nastri gialli e azzurri e i cartelloni con i nostri slogan. Per un’ora la polizia è stata in grado di tenere la situazione sotto controllo, poi sono cominciati gli scontri veri e propri.. e il meeting è finito con decine di pacifisti picchiati. Naturalmente nessuno era realmente preparato a rispondere alla violenza. Nessuno era protetto, se non dalla polizia.. ma sulla posizione della polizia dovrei scrivere un articolo a parte.

Dopo questo meeting, però, sono iniziate a circolare voci sempre più fitte riguardo alle azioni di contrattacco dei separatisti filo-russi, cioè su provocazioni e violenze da aspettarsi ai prossimi meeting. Quello del 9 marzo è stato interrotto prima ancora di cominciare, con i filo-russi che hanno distrutto il palco su cui avrebbero dovuto alternarsi i discorsi e le esibizioni. Questo evento ha enormemente demoralizzato chi credeva che a Donetsk potesse cambiare qualcosa. Mi ricordo la faccia del mio ragazzo, gli occhi persi, neanche una parola per descrivere la sensazione di impotenza che avevano provato lui e i suoi compagni davanti a chi, con la violenza, gli portava via quella primavera appena iniziata. Ma continuava a ripetere che non ci si poteva arrendere così. Nei giorni successivi i filo-russi, come padroni della città, hanno continuato a radunarsi, a schiamazzare,  a sporcare le strade e ad avvalenarne l’aria. La  presenza della polizia è stata sempre e solo di facciata.

Un ultimo (tentativo di) meeting per la pace a Donetsk è stato organizzato il 13. Questo però non si è concluso con “semplici” scontri. Dimitry, un ragazzo di Donetsk di 22 anni, c’ha rimesso la vita, ucciso da “non identificati”. Ancora oggi nessuno sta pagando per la sua morte. Tra l’altro, tornando alla guerra d’informazione, nella tv russa la notizia è stata fatta passare sotto altre vesti: un filo-russo è stato ucciso dai neo-fascisti che già stanno mettendo le mani su Donetsk. Dimitry era l’addetto stampa di un partito di destra, Svoboda (Libertà). Il mio ragazzo faceva parte del gruppo di difesa, questa volta si era deciso di preparasi un po’ meglio, prevedendo aggressioni e provocazioni. Ma “un po’ meglio.. significa non abbastanza. Una squadra di ragazzi più robusti, più o meno un centinaio, avrebbero circondato i manifestanti e in caso di pericolo li avrebbero aiutati a lasciare la piazza. Questo era il piano.

Io alle 6, orario di inzio del meeting, ero in piazza, pronta a buttarmi tra la folla, ma ho ricevuto un messaggio dal mio ragazzo che mi avvertiva di tenermi lontana. Me ne sono restata allora un po’ in disparte, come tante altre persone, e ho deciso di guardare dal di là della strada quello che già si poteva chiamare “scontro”. I separatisti non hanno esitato neanche un minuto e hanno iniziato subito a lanciare uova, pietre, petardi e oggetti infuocati. Da parte ucraina nessuna violenza e nessuna reazione alla violenza. Io guardavo, allucinata. La piazza era piena di polizia che non interveniva. I miei occhi seguivano la scia dei petardi e del fuoco e speravo che nessuno fosse ferito, speravo che la polizia intervenisse con decisione.

Poi un uomo, un giornalista, si è avvicinato a me, chiedendomi da che parte stavo. Non ho resistito “Io sono per l’Ucraina, unita – gli ho detto – voglio vivere in Ucraina e non in Russia”. Abbiamo parlato ancora un po’, e gli ho detto che non oso nemmeno immaginare cosa avrei provato io se nella mia città avresso sostituito la bandiera italiana con quella di un altro stato o l’avessero bruciata… Mi sono accorta solo più tardi che erano quasi le 7 e mi sono diretta a lavoro.. a malincuore. Alle 9 sono tornata a casa. In camera c’era il mio ragazzo con gli occhi neri e il pantalone pieno di sangue. “Non so neanche se è il mio – mi ha detto – ora non sento nulla”.  Aveva anche una bruciatura sotto l’occhio, provocata dall’esplosione di un petardo. Quando gli scontri sono diventati sempre più violenti, si è deciso ad evacuare la folla e una parte dei ragazzi del gruppo di difesa (fortunatamente tra loro non c’era il mio ragazzo) non è riuscita a lasciare la piazza prima di essere aggredita. I separatisti li hanno circondati e li hanno massacrati di botte. Dimitry è morto accoltellato. Altri sono stati ricoverati in ospedale, alcuni ora sono stati dimessi, altri ancora no. C’è chi ha riporatato problemi alla vista, chi al cervello. Trenta persone inermi,  circondate da una folla di filo-russi arrabbiati, aggressivi, violenti che gridavano: “Inginocchiatevi!!“, “diamogli fuoco!!!“. Diamogli fuoco.. come se per loro una bandiera o una vita fossero la stessa cosa. Neanche inginocchiarsi è servito a calmarli, a evitare il peggio.

Inginocchiarsi, nella propria città, nella propria patria, allo straniero. Io me la sento addosso questa umiliazione. Come se lì ci fossi stata io a schivare le pietre, i calci, a schivare gli sputi e gli insulti.

Dopo questo meeting si è deciso che non fosse saggio organizzarne altri.

Questo era quello che accadeva prima del referendum in Crimea. Riguardo alla domanda sugli effetti del referendum a Donetsk, il risultato altro non fa che rafforzare le posizioni dei separatisti ucraini e di quelli russi, aiutati da miglialia di criminali e banditi, a cui poco importa la sorte di questo paese. Questi criminali cercano, attivamente, di dimostrare come tutto l’ovest dell’Ucraina sia a favore dell’integrazione con la Russia. Agiscono senza alcun ideale, secondo un preciso piano putiniano: molto remunerativo, ma soprattutto assolutamene al di fuori di ogni concetto di legalità. Il supporto a Putin, alla Russia, è, per questa gente, un vero e proprio lavoro. Non stupisce che le stesse facce appaiano nei reportage delle diverse città dove sono in atto manifestazioni filo-russe.

Crimea

 


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :