Raymond Carver racconta che Flaubert (Flaubert dico, mica il primo che passa per strada), si era ritirato lontano da Parigi. Aveva bisogno di tranquillità. Lì scrisse “Madame Bovary”, e un amico andava a trovarlo, leggeva quanto aveva scritto, e gli consegnava di tagliare qui. O là. Insomma, gli faceva da editor. Fu costui a consigliarlo di eliminare le ultime trenta pagine del manoscritto. Flaubert le rilesse, e fu d’accordo.
Gustave Flaubert, signore e signori.
L’aspetto interessante non è solo questo, ma un altro.
In tanti gli chiedevano di rientrare a Parigi, perché nella città c’era movimento.
Ma Flaubert replicava che non gli andava di vivere dove c’era movimento.
Spesso si blatera che occorre essere al centro di non si sa bene cosa. Forse della vita? Del turbinio della vita? Occorre abitare dove si scrive (o si fa?) la storia?
Non saprei proprio.
Può darsi che a volte sia necessario. Ma in questa maniera Flaubert ha scritto Madame Bovary. Io sono una persona semplice: ha ragione lui. E l’unico movimento di cui si ha bisogno, probabilmente è la cyclette, almeno tre volte la settimana.
Ignazio Silone ambientò in Abruzzo tutti i suoi scritti, tranne “La volpe e le camelie” che si svolge in Svizzera. Buona parte degli scrittori più importanti arrivano dalle periferie, da certi posti che si fa fatica a scovare sulla carta geografica. Ma questo non è un ostacolo, non ha impedito loro di entrare nella Letteratura e di restarci.
Essere al centro del mondo non rende né interessanti, e nemmeno scrittori. È il rapporto che abbiamo con la realtà, la nostra determinazione a sporcarci le mani con essa, assieme al talento, che serve.