Garrone prosegue nella sua analisi di sguardo intenta a fotografare un'umanità popolare che rappresenta una sfumatura di quella vista in Gomorra, declinata con i toni della commedia e del teatro in cui pare aggirarsi il protagonista, anfitrione che verrà spinto alla vana ricerca di un posto al sole all'interno del capostitpite dei reality show.Garrone sembra sempre in bilico tra l'analisi sociolgica puntuale della realtà che più gli interessa e che meglio pare conoscere ed il colore provinciale di una rappresentazione neo-neorealista.Eppure, questo film rispetto al precedente Gomorra innegabilmente incuriosisce e fa sorridere, amaramente, degli influssi e influenze di costume di simili prodotti televisivi, che nel caso de Il Grande Fratello, paiono in crisi d'identità essi stessi. La catabasi del protagonista verso una disgregazione del proprio io è tratteggiata in maniera ironica, senza derive eccessivamente deliranti o fuori luogo, se non per la sequenza del grillo osservatore non parlante, frutto anch'esso della deformazione percettiva della realtà del protagonista, che altrove è più azzeccata quando cerca di emulare e riprodurre all'interno del proprio ambiente domestico ciò che la televisione gli rimanda costantemente, quale paradiso terrestre cui anelare e in cui non gli è stato concesso di entrare.L'esistenza del povero pescivendolo viene sconvolta e dettata da presunte regole e verifiche occulte a cui si sente sottoposto dagli organizzatori della serie, per consentirgli di accedere ad un luogo, che Garrone non esita a raffigurare come circense, ma in senso deteriore e non felliniano del termine.Il regista recupera quello sguardo già percepito a suo tempo ne L'imbalsamatore, in cui fotografa architetture e spazi di luoghi e non luoghi in cui si aggirano i vari personaggi della vicenda, dalla casa moderna all'interno di un contesto architettonico in decadenza e memore di un passato di ricchezza, ormai solo ostentata attraverso il cattivo gusto e i centri commerciali spersonalizzanti, sino alla pescheria all'interno della piazza mercato, in cui le figure religiose sembrano l'unica speranza ancora esistente per salvare e redimere il mancato prigioniero della "casa".Garrone accompagna il protagonista nel suo percorso di evanescenza progressiva sino ad un finale dai toni sarcastici alla Gilliam dei tempi di Brazil, in cui l'overlook registico si allontana progressivamente da quella realtà cui si era inizialmente avvicinato, come nell'inizio de La dolce vita per disvelarci subito le inconsistenze umane e spettacolari dei reduci del reality più famoso al mondo, cui tutti sembrano aspirare ed amare, nonostante l'inconsistenza verbale ed umana che li ha resi icone da emulare e adorare al posto di una fede che pare non essere più in grado di salvare le anime perdute.
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Garrone prosegue nella sua analisi di sguardo intenta a fotografare un'umanità popolare che rappresenta una sfumatura di quella vista in Gomorra, declinata con i toni della commedia e del teatro in cui pare aggirarsi il protagonista, anfitrione che verrà spinto alla vana ricerca di un posto al sole all'interno del capostitpite dei reality show.Garrone sembra sempre in bilico tra l'analisi sociolgica puntuale della realtà che più gli interessa e che meglio pare conoscere ed il colore provinciale di una rappresentazione neo-neorealista.Eppure, questo film rispetto al precedente Gomorra innegabilmente incuriosisce e fa sorridere, amaramente, degli influssi e influenze di costume di simili prodotti televisivi, che nel caso de Il Grande Fratello, paiono in crisi d'identità essi stessi. La catabasi del protagonista verso una disgregazione del proprio io è tratteggiata in maniera ironica, senza derive eccessivamente deliranti o fuori luogo, se non per la sequenza del grillo osservatore non parlante, frutto anch'esso della deformazione percettiva della realtà del protagonista, che altrove è più azzeccata quando cerca di emulare e riprodurre all'interno del proprio ambiente domestico ciò che la televisione gli rimanda costantemente, quale paradiso terrestre cui anelare e in cui non gli è stato concesso di entrare.L'esistenza del povero pescivendolo viene sconvolta e dettata da presunte regole e verifiche occulte a cui si sente sottoposto dagli organizzatori della serie, per consentirgli di accedere ad un luogo, che Garrone non esita a raffigurare come circense, ma in senso deteriore e non felliniano del termine.Il regista recupera quello sguardo già percepito a suo tempo ne L'imbalsamatore, in cui fotografa architetture e spazi di luoghi e non luoghi in cui si aggirano i vari personaggi della vicenda, dalla casa moderna all'interno di un contesto architettonico in decadenza e memore di un passato di ricchezza, ormai solo ostentata attraverso il cattivo gusto e i centri commerciali spersonalizzanti, sino alla pescheria all'interno della piazza mercato, in cui le figure religiose sembrano l'unica speranza ancora esistente per salvare e redimere il mancato prigioniero della "casa".Garrone accompagna il protagonista nel suo percorso di evanescenza progressiva sino ad un finale dai toni sarcastici alla Gilliam dei tempi di Brazil, in cui l'overlook registico si allontana progressivamente da quella realtà cui si era inizialmente avvicinato, come nell'inizio de La dolce vita per disvelarci subito le inconsistenze umane e spettacolari dei reduci del reality più famoso al mondo, cui tutti sembrano aspirare ed amare, nonostante l'inconsistenza verbale ed umana che li ha resi icone da emulare e adorare al posto di una fede che pare non essere più in grado di salvare le anime perdute.
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