Dopo X-Men: Le origini – Wolverine (2009), ecco un nuovo spin-off sul più famoso mutante dei comics della Marvel. Nei panni di Logan, per la sesta volta, Hugh Jackman, che sembra ormai davvero innamorato del personaggio. E se il primo film interamente dedicato a lui era un prequel in cui veniva raccontata la nascita di Wolverine, in questo secondo capitolo, ambientato diversi anni dopo gli eventi dell’ultimo episodio della saga X-Men: Scontro finale, vediamo invece Logan alle prese con i dubbi e le contraddizioni della sua esistenza, segnata da un’immortalità che non fa altro che prolungare all’infinito i suoi dolori interiori. All’inizio del film ci troviamo di fronte un uomo lacerato, distrutto, che vive da solo nella grotta di un bosco sperduto. Un vagabondo alle prese con il suo complicato passato e con la consapevolezza di un futuro che non vedrà mai un termine, tormentato ogni notte per essere stato costretto ad uccidere la sua amata Jean Grey, passata purtroppo dalla parte oscura della forza. L’eroe, il combattente, il soldato Wolverine non c’è più, sparito all’ombra di un uomo alla ricerca di se stesso. Ma quando alcuni eventi lontani, risalenti alla strage atomica di Nagasaki, tornano a bussare alla porta della sua memoria e della sua esistenza, il nostro Logan si trova costretto a ritirare fuori i suoi artigli di adamantio.
Avrebbe dovuto dirigerlo Darren Aronofsky, quasi convinto da Jackman (qui nelle vesti anche di produttore) a dare il suo contributo visionario e autoriale al racconto delle vicende di Wolverine. Ma dietro la macchina da presa, alla fine, troviamo invece un regista eclettico e poliedrico come James Mangold, che nella sua carriera ha dimostrato di saper spaziare da un genere all’altro condendo sempre la narrazione di una profonda analisi psicologica dei personaggi. E così avviene anche in questa pellicola, dove l’azione cede spesso il passo all’introspezione e lo spettacolo si fa più riflessivo rispetto al precedente spin-off. Una scelta coraggiosa, quest’ultima, che allontana (e non poco) quest’opera dagli altri film tratti dai comics della Marvel. Ma se nella prima parte tale strada si fa apprezzare molto, dando centralità assoluta al personaggio, nella seconda quando si entra nel vivo del racconto, la narrazione ne risente parecchio, procedendo con un ritmo troppo compassato che strozza decisamente il divertimento che un film del genere dovrebbe lasciar esplodere senza freni.
Il risultato finale è un ibrido che non sa dare unità e compattezza a tutti gli ingredienti messi in campo, incapace per lunghi tratti di saper fondere introspezione ed azione, dimensione umana ed entertainment. Hugh Jackman dimostra di saper dare spessore al suo personaggio e conferma le doti interpretative già felicemente espresse in Les Miserables, ma ciò non basta risollevare una pellicola costantemente indecisa sulla linea da seguire. Per la seconda volta, Wolverine, da solo, non convince fino in fondo. Ma rimaniamo fiduciosi, in attesa del prossimo capitolo della saga che riunirà nuovamente tutti i mutanti della Marvel: X-Men: Days of Future Past, previsto per la prossima primavera e diretto da Bryan Singer.
di Antonio Valerio Spera