Con questo articolo diamo avvia alla collaborazione con Marco C., laureato in Archeologia presso l’Università di Bari, membro del corso di specializzazione presso il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana e la Scuola di Specializzazione in Archeologia presso l’Università la Sapienza di Roma. Ha lavorato in diversi scavi in Italia e all’estero, si occupa prevalentemente di cristianizzazione delle aree rurali nell’età tardoantica e altomedievale. In questo primo articolo presenterà un libro recentemente pubblicato: “Gesù e i testimoni oculari“ (Edizioni GBU 2010, pp. 720, euro 28) di Richard Bauckham. L’esperto si è reso anche disponibile a rispondere a domande, dubbi ed eventuali critiche che potranno essere postate nei commenti sotto l’articolo.
di Marco C.*
*archeologo
I Vangeli sono documenti storici, non libri di favole e gli eventi in essi narrati sono verità storiche, non miti. La loro autenticità è garantita dall’autorevolezza dei “testimoni oculari”, i cui racconti hanno fornito la “materia prima” su cui sono stati costruiti i racconti evangelici. La tesi di Richard Bauckham, professore emerito di Studi Neotestamentari presso l’Università di St. Andrews in Scozia, non è nuova, ma trae nuova linfa vitale grazie al suo ultimo lavoro, tradotto in italiano con il titolo di “Gesù e i testimoni oculari“: i fatti narrati dagli evangelisti sono vicini alla narrazione originale che ne fecero i testimoni oculari e, sebbene mediati dalle realtà culturali delle prime comunità a cui afferivano gli evangelisti, presentano una narrazione vivida e diretta degli eventi che segnarono la vita pubblica di Gesù Cristo.
La testimonianza dei discepoli svolge, dunque, un ruolo chiave nella redazione dei testi evangelici: i loro racconti, diffusi immediatamente dopo la morte e la resurrezione di Gesù, sarebbero circolati per anni, grazie all’infaticabile predicazione degli apostoli, che rimasero in attività per molti anni, dedicandosi all’evangelizzazione e alla costruzione delle prime comunità cristiane. Ed il lavoro di Bauckham, in questo senso, è illuminante, ribattendo colpo su colpo alla teoria della critica delle forme, identificata nella figura del pastore evangelico Rudolf Bultmann, che invece voleva i racconti evangelici frutto non di una testimonianza diretta ma di un coacervo di tradizioni ebraiche e paleocristiane, presentate nel loro sviluppo primitivo, ad uso e consumo delle prime comunità allo scopo di fornire un testo guida per l’edificazione morale dei primi adepti alla nuova religione cristiana.
Lo studioso scozzese, riprendendo vecchie critiche a questa posizione, asserisce che il divario cronologico tra il Gesù storico e la redazione dei Vangeli (che è un fatto acclarato) sia stato colmato dalla tradizione orale che avrebbe sicuramente manomesso o distorto alcuni episodi (come si evince dalle peculiarità narrative di ciascun Vangelo), ma avrebbe garantito l’originalità e la “freschezza” del messaggio messianico di Gesù di Nazareth. Lungi dal considerare la trasmissione orale un elemento di delegittimazione della verità storica (tesi più volte confutata), Bauckham individua proprio in questo mezzo l’elemento decisivo per la diffusione della Novella nelle prime comunità e per la formazione dei testi evangelici, traendo spunto non da una tradizione comune ma dalla testimonianza oculare di coloro che vissero l’avventura terrena di Gesù e ne seguirono la predicazione: questi testimoni continuarono a diffondere il Verbo dopo la loro morte, permettendo non solo di coagulare intorno a sè le prime comunità ma fornendo anche una tradizione, prima orale e poi scritta, su cui fondare la futura Chiesa universale.
In questo link l’introduzione originale dell’autore del libro.