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Recensione "Derrumbe" di Ricardo Menéndez Salmòn

Creato il 27 giugno 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Recensione "Derrumbe" di Ricardo Menéndez Salmòn

Pubblicato da romina
Cari lettori, 
lo ammetto, non conoscevo Ricardo Menéndez Salmón. E ne sono rimasta piacevolmente colpita. Presentato come una delle voci più originali e apprezzate del vivace panorama letterario spagnolo, l’autore di Gijón sbarca su Marcos y Marcos con una traduzione di Claudia Tarolo per un titolo dal suono molto accattivante, quasi onomatopeico:Derrumbe, che in italiano ha il significato diprecipizio,crollo. Titolo decisamente appropriato per la storia nera raccontata con uno stile assolutamente riconoscibile e particolare, un viaggio nei labirinti della ragione che poco distano dalle tenebre. E l’impressione di stare sospesi sull’orlo del precipizio, dove le percezioni si confondono e basta un nulla, un movimento impercettibile come un respiro per precipitare nel vuoto, non abbandona il lettore neppure dopo l’ultima riga.
Titolo: Derrumbe Autore: Ricardo Menéndez Salmón Casa editrice: Marcos y Marcos Pagine: 187
Prezzo: 15 euro Trama: Otto vittime. Uomini, donne, giovani, vecchi. Accanto a ogni cadavere trovano una scarpa della vittima precedente. Sono in quattro a investigare: Manila, Olsen, Gudesteiz e l’Ispettore. Poi c’è il Quinto uomo, inviato dall’alto a ricordare ai quattro che hanno carta bianca, ma devono agire in fretta. Un serial killer feroce e completamente pazzo fa paura. Più paura ancora fanno gli Estirpatori. La loro idea è semplicissima, come tutte le idee geniali, commenta la moglie di Manila davanti al telegiornale: infilare aghi nei cartoni del latte. E quando sarà proprio Mara, la bella moglie dell’Ispettore, a scomparire, il nero si tingerà di sfumature ancora più inquietanti.
RECENSIONE Il Male raccontato nelle pagine di Derrumbe – 187 per l’esattezza, ma che si leggono d’un fiato o, meglio, trattenendo il respiro  viene descritto in modo vivo, tangibile, concreto come le parole che Menéndez Salmón usa per rievocarlo agli occhi del lettore, per farne sentire l’odore marcescente, il degrado, la vorace insaziabilità che si trasforma in un inferno fatto di sensi e visioni estatiche. È un Male spiegato attraverso metafore ardite, a volte barocche, che si imbevono della filosofia che permea tutta la narrazione. Non a caso l’autore cita con disinvoltura Platone, Spinoza, Nietzsche.

Difficile parlare della trama senza sottrarre al lettore il piacere di una lettura che sorprende, non tanto per i colpi di scena, quanto per le domande, le immagini forti, che con ritmo sapientemente cadenzato si insinuano nella lettura: un vortice dove tutto sembra, in conclusione, riprendere dall’inizio, come un serpente che si morde la coda, nel sapore claustrofobico di un mondo che non ammette vie di uscita né scappatoie. Credo che una delle chiavi per capire e amare questo romanzo stia proprio nella percezione sottilissima di confini labili tra ragione e follia, tra vittima e carnefice, tra Io e società. Una società che dà e riempie, ma mai di ciò che serve davvero, e di cui è simbolo Corporama, il parco tematico che contiene la gigantesca riproduzione dell’ermafrodito, creato per permettere al visitatore un viaggio tra le meraviglie e le mostruosità del corpo umano. 

E la domanda sorge più volte e inevitabile, scorrendo le pagine: è ancora possibile mantenere il candore, non lasciarsi infettare dallo stesso malessere di un mondo che corre verso la paranoia, l’orrore, confuso da una sovrabbondanza di aggettivi e verbi che rendono la realtà irrimediabilmente indecifrabile? 

Procede per simboli, Menèndez, e ci catapulta dall’orrore di chi ha scelto il male e fa della paura il suo stendardo, come il serial killer al quale tutti danno la caccia, all’assoluta mancanza di comunicazione tra generazioni che si riflette nell’incapacità di comprendere i propri figli fino a deformare la realtà più intima e familiare in qualcosa di altrettanto aberrante e all’improvviso sconosciuto. Sono personaggi ambigui, quelli di Derrumbe, espressione di una percezione del Male come vischioso pericolo che si annida anche nella casa borghese più insospettabile, nella famiglia più rispettabile.

L’ispettore Manila dovrà trovare il serial killer che ha sconvolto la città, precipitata nella spirale dell’orrore e del sospetto, in una corsa contro il tempo che vedrà nascere, come un proliferare di spore infette, altri seguaci, altri spettri, giullari della paura, questa volta sotto forma di una banda di insospettabili – gli Estirpatori – che si diverte a infilare sottilissimi aghi nei cartoni del latte, sabotando alla fine quello stesso Corporama, simbolo di un’umanità degradata, da cui comunque non potranno scappare, perché figli di quella stessa fetta di storia e della stessa aberrante civiltà.

Ed è in questa corsa contro il tempo, che l’ispettore Manila dovrà combattere anche la sua personale e intima lotta per difendere un amore che forse sta fuggendo, e una normalità che appare sempre più lontana e irrimediabile. Perché il Male, come dice Salmón trova giustificazione nella sua esistenza. Il male non richiede prova ontologica, né riduzione all’assurdo, né fede né profeti. Il Male è la sua stessa aspettativa. La vita mi ha insegnato che è il bene che necessita di un perché, una causa, un motivo. È il bene che, in realtà, rappresenta il più profondo degli enigmi.
L’AUTORE: Ricardo Menéndez Salmón è nato a Gijón, "piccola Atene" nel cuore delle Asturie, nel 1971. Ha studiato filosofia, è il direttore editoriale di una piccola casa editrice, scrive su quotidiani e riviste. Con i suoi romanzi e racconti ha conquistato più di quaranta premi; I cavalli blu, il racconto che abbiamo incluso nella raccolta Gridare, ha vinto il Premio Juan Rulfo, uno dei più prestigiosi riconoscimenti internazionali riservati alla letteratura in lingua spagnola. Il suo romanzo L'offesa è stato celebrato come la migliore opera di narrativa pubblicata in Spagna nel 2007. Ricardo Menéndez Salmón è una delle voci più ammirate della narrativa spagnola contemporanea. “Degni di nota”: Non conosco le opinioni dell’autore sul nostro Paese, ma la citazione che ne fa a pag. 35 è  degna di nota. Se non altro per l’originalità e la fantasia della metafora.

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