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[Recensione] El especialista de Barcelona di Aldo Busi

Creato il 15 settembre 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] El especialista de Barcelona di Aldo BusiTitolo: El especialista de Barcelona
Autore: Aldo Busi
Editore: Dalai – Baldini & Castoldi
Anno: 2012
ISBN: 9788867620883
Lingua: italiana
Numero pagine: 373
Prezzo: € 19,00
Disponibile l’edizione economica a € 14,00
Voto: [Recensione] El especialista de Barcelona di Aldo Busi

Contenuto: Come si fa a dimenticare a comando? Com’è possibile perdere per strada la memoria di una storia, se prima non si ha la pazienza di recuperarla passando al setaccio tutto quanto l’ha riempita da venticinque anni a questa parte? È quello che si accinge a fare lo Scrittore, seduto su una sedia all’inizio della Rambla e proprio nessuna voglia di scrivere e di vivere come gli altri. Contraltare di questa sua volontà di oblio programmatico e globale è la figura cicciuta e tracagnotta dell’especialista, un docente universitario “che di sé non ha mai saputo niente di essenziale, a parte di essere basso di cavallo e di farsene un cruccio mortale”. Alle spalle e attorno l’especialista, una caleidoscopica orda di parenti che rimescolano i propri sessi e li sovrappongono, una consorteria di avidi, esaltati e feroci come conigli stipati dentro una comune gabbia di pregiudizi, rancori, omertà, tic di finta trasgressione e segreti di Pulcinella. Per lo Scrittore affezionarsi all’especialista e tenere il conto dei ribaltoni della sua sagrada familia è un tutt’uno, un po’ perché simpatizzare con i mostri è l’unico modo per non farsene sbranare, un po’ perché “per fare chiaro bisogna prima fare un po’ di caldo”. Ha inizio così una lotta all’ultima confidenza taciuta tra un uomo che ha il solo cruccio di non poter condividere la propria integrità con nessuno e diversi esemplari di un’umanità all’ultimo grido antica come Eva, reazionaria come il generale Franco e raccapricciante come un’acquaforte di Goya.

RecensioneEl especialista de Barcelona è uno di quei libri da leggere, anzi, da recitare ad alta voce per la ricchezza lessicale e l’italiano perfetto che sanno di ordine e di pulizia. Non è un testo facile, è poco adatto a lettori distratti e frettolosi. La lettura, se attenta e oculata, si fa  fluida e scorrevole. Anche gli spazi e la punteggiatura lasciano il segno. È un ricchissimo monologo interiore che fa da trama a se stesso, la cui voce necessita solo di un palco. Emerge da subito la potenza del bagaglio esistenziale di chi ha provato tutto, di chi può tranquillamente prendere la penna in mano e fare letteratura. È questo il dono che ha guadagnato, pagando in vita il prezzo salato della vocazione alla libertà. Una libertà che gli ha consentito di contrastare a muso duro e a testa alta qualsiasi convenzione, e che gli consente, ora, di essere il più moderno, il più fresco, il più fanciullesco dei matusalemme del regno animale avanzato. Non serve altro, è sufficiente un platano con una foglia in bilico e una sedia di ferro sulla quale sedere.

I protagonisti sono due: lo scrittore e il suo alter-ego, cioè la foglia di platano che risponde, un personaggio che soprattutto è voce, uno sdoppiamento salutare e necessario. La foglia pendula è in un equilibrio precario per via di un colpo di vento che può strapparla dal ramo in qualunque momento, a memoria dello scatto d’ira di Pinocchio che lasciò stecchito tra le stoviglie di casa il grillo parlante. Lo scrittore è un Pinocchio divenuto adulto che, al contrario di quello di Collodi, si è tenuto le sue sembianze senza diventare un burattino di carne e ossa. Ha superato alla grande ogni contraddittorio con il mondo e con se stesso, accettando gli alti e i bassi, rifiutando sia l’esito tragico che la farsa.

Lo scrittore ha assorbito ogni cosa, dentro di sé ritrova emozioni, sensazioni, personaggi, odori, e ne scrive portando alla luce ritratti veri o verosimili, di fatto inconfutabili.

La lezione fondamentale appresa è la stessa che si coglie tra le pagine di Seminario sulla gioventù. Non c’è possibilità di abbracciare l’esistenza se non la si accoglie come un tutto, accettando la bellezza e la bruttezza, la gioia e il dolore cui non c’è rimedio, amore e odio compresi. La vita può essere continuazione della morte, il bene una pausa che si prende il male, come Ercole che si riposa un attimo prima di attaccare la tredicesima fatica. Altre strade non vi sono se si desidera vivere in pieno e, perché no, scoprire la propria eccellenza, guadagnare con la vetta il panorama che da essa si avvista. Si percepisce l’umanità nella sua totalità. Poco altro consente una capacità di giudizio lucida e beffarda. Il paradosso è che colui che siede su una panca e parla con una foglia di platano non si chiama fuori dall’umanità, non è uno spirito dispettoso o estraneo, è più umano degli altri, ha toccato il fondo e ogni altezza, ha visto e vissuto tutto.

Diversa è la storia de l’especialista de Barcelona che incontriamo nel titolo. A torto si potrebbe considerarlo antagonista del narratore, ma a ben vedere è antagonista di niente. Semplicemente è un professore gay che aveva scoperto che gli piacevano gli uomini e voleva scriverne. Non c’è altro, non c’è di più. Ci vuol poco per scorgere, tra mille sfaccettature, la critica a una certa letteratura LGBT:

Certo che pacchia, poter star bene e scegliere di star male per vizio e dare la colpa agli altri, preferendo su tutti darla alla mamma…

Nel professore universitario (especialista) prevale un desiderio di riscatto che parte da presupposti sbagliati. Essendo nati agnelli, non possedendo artigli, non ci si può permettere che la mitezza di maniera, salvo sognare di farla pagare al primo che capita, in una rappresaglia che attende sempre tempi migliori. È un sintomo di un mondo scisso, frammentato da cliché di ogni sorta.

Se il narratore, dopo aver molto combattuto e dibattuto si è auto esiliato e ora fa incetta di memorie alla Rambla, l’altro si esilia dalla normalità per avere un posto al sole e pubblicare, essere riconosciuto, senza tuttavia risolvere granché. È sufficiente una bandiera, un marchio, per non uscire dal bailamme del tutto, assecondando i costumi di un mondo tronfio, bigotto. E di quello vive più che della sua anima. Potrebbe essere questa una possibile sintesi del romanzo.

Il narratore si compiace della verità ultima che ha trovato, se la gira e rigira offrendocela con nonchalance. Se la ride sotto i baffi, perché ha vissuto la terza possibilità che la logica vorrebbe non fosse mai data (tertium non datur):

Fa niente, dai, è andata come è andata, almeno per questa possibilità, l’hai vissuta tu questa terza possibilità, l’hai vissuta in barba alla sua stessa inesistenza, con te avvocato del diavolo di te stesso, ma l’hai vissuta, sei pur sempre qualcuno e qualcuno d’altro almeno con te, no?

 


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