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Recensione – Oblivion: “L’ultimo a morire si prenda la casa sul lago”

Creato il 15 aprile 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

C’era tanta attesa per il nuovo film di Joseph Kosinski. Un po’ perché Tom Cruise è una delle ultime star che ancora riesce ad attirare spettatori in sala in quantità, un po’ perché per la prima volta duetta faccia a faccia con un’altra stella di Hollywood, Morgan Freeman. E un po’ perché il genere sci-fi, di cui Oblivion fa parte, fa gola a tanti. Del resto, chi non smania di sbirciare come sarà il mondo alla fine del mondo? Quando la Luna non esisterà più, la Terra resterà solo un ricordo disabitato dopo il lancio definitivo dell’ennesima bomba atomica e gli uomini saranno costretti a vivere su piattaforme sospese nello spazio?

Kosinski ci presenta esattamente questo panorama, desolato e desertico, colorato solo dalla forza vitale del protagonista Jack Harper, ovvero Tom Cruise in versione spazzino.
A lui, infatti, il compito di riparare droni in azione sulla Terra evacuata. E di sognare nostalgicamente il ritorno sul nostro pianeta, esplorandolo a bordo ora di una moto (un chiaro omaggio a Top Gun) ora di una curiosa bubbleship tuttofare, oppure sdraiandosi sul prato di una remota e idilliaca casa sul lago.
Si nota lo sforzo di tratteggiare un profilo umano del protagonista, per non ottenere un mero film d’azione. Purtroppo, però, in sostanza è di questo che si tratta: il buon Tom, intento a salvare la terra, regala una performance sorprendente per i suoi 50 anni, ma che non si classifica tra le sue più memorabili. E che non regge il confronto, per espressività soprattutto, con il meno presente ma più incisivo Morgan Freman.

Apprezzabile la scelta delle interpreti femminili: Olga Kurylenko, ex Bond Girl in Quantum of Solace, si conferma attrice carismatica e aggraziata, mentre l’algida Andrea Riseborough, già protagonista di W.E. di Madonna, interpreta al meglio la valida ed “efficiente” compagna di squadra/navigatore. Coordina tutto e tutti la dittatoriale dea ex machina Melissa Leo, un nome, una garanzia – anche se la vediamo solo dietro a uno schermo, intenta a impartire inquietanti ordini “dall’alto”.

Oltre al cast, è assolutamente convincente l’impatto visivo del film: colpisce la potenza delle immagini – là dove latita l’efficacia narrativa – e la cura nel rendere “credibile” l’anno 2077, per cui ci sono voluti il direttore di fotografia di Vita di Pi Claudio Miranda, lo scenografo di Tron: Legacy Darren Gilford e il premio Oscar per gli effetti visivi di Il Curioso caso di Benjamin Button Erica Barba.
Detto questo, se cercate una storia originale o un’epopea avvincente meglio guardare altrove: l’eroismo del protagonista viene definito lungo la solita noiosa linea di demarcazione buoni (gli ultimi umani) vs. cattivi (gli alieni, i droni), i colpi di scena ci sono e fanno il loro, ma sono poco efficaci, soprattutto se ci sono di mezzo i replicanti (dopo Blade Runner, il resto è noia). Insomma, cinema trito e ritrito, omaggiato a più riprese (da 2001 Odissea nello spazio a Wall-e è un continuo di citazioni), ma niente di nuovo sotto il sole (o sopra?), malgrado una confezione, ribadiamo, di grande impatto visivo.

di Claudia Catalli

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