(7 - Ci dev'essere un cadavere nel romanzo poliziesco, e più è cadavere meglio è. Nessun reato minore dell'assassinio può essere considerato sufficiente. Trecento pagine sono troppe per un reato diverso dall'assassinio. Dopo tutto, la fatica e lo sforzo del lettore devono essere ricompensati.)
Ohibò. C’era chi aveva pensato che bastasse una lettera rubata (Poe) o un intrigo familiare con scambio di persona (Wilkie Collins) a fare un grande racconto giallo!
Non immaginavano, i poverini, che nel XX secolo sarebbe arrivata la Cornwell a ingozzarci di cadaveri bianchicci eviscerati sul tavolo dell’anatomopatologo, seguita a ruota da tutta una serie di americani ed europei in vena grandguignolesca.
Intendiamoci: lo splatter, in letteratura, a volte è una necessità. La splendida graphic novel From hell, scritta da Alan Moore e disegnata da Eddie Campbell (prima edizione 1991-96), parla dei delitti irrisolti di Jack lo Squartatore, lo fa in modo non gratuito, lo fa con un’analisi sociale, storica e psicologica acutissima, quindi lì lo splatter è più che giustificato.
E' chiaro che c’è tutto un filone letterario, Usa soprattutto, che nel sangue, nelle budella, nel marciume ci sguazza, immaginando o presumendo nel lettore analogo compiacimento.
Però non diamo sempre la colpa di ogni nequizie umana agli americani: questa linea deriva dal romanzo gotico anglosassone della fine del XVIII – inizi del XIX secolo (Walpole, Bram Stoker, Mary Shelley, Ann Radcliffe), e poi dai meravigliosi, illeggibili romanzi d’appendice ottocentesca della nostra Carolina Invernizio (bastano i titoli: Il bacio di una morta, La sepolta viva...). Tutti romanzi dove la morte è onnipresente e il confine tra vivi e morti si annacqua nelle figure del vampiro, del golem, del fantasma, di Frankenstein.
Mi viene un dubbio, rileggendo: se van Dine scrive che trecento pagine sono troppe per un reato diverso dall'assassinio, significa che in un racconto qualcosa di meno te lo puoi permettere?
Eh no: se giallo dev’essere, l’assassinio ci vuole comunque, secondo me. Adoro, tra parentesi, quei romanzi che cominciano così così e finiscono maliiissimo, tipo Il riscatto di un cane della Highsmith, dove da un evento criminale minore si arriva ad altri sempre più gravi, in un crescendo del climax.
Non amo molto, al contrario, i romanzi che parlano di serial killer o di psicopatici che uccidono solo per il gusto del sangue: letto uno, lì hai letti tutti, e ci vuole veramente un grande scrittore per innestare un briciolo di originalità in una vicenda del genere, che so, penso al Silenzio degli innocenti di Harris.
Ritengo altresì che molti giallisti si facciano prendere la mano, giustificandosi con il vecchio adagio “chi ha ucciso una volta, ucciderà ancora” o “sangue chiama sangue”: ossia, vedi l’assassino uccidere qualcuno a pagina 15, qualcun altro a pagina 80 e tentare di far fuori il terzo alla terzultima pagina del romanzo.
No.
Tu puoi uccidere ancora solo se hai una buona ragione per farlo (la seconda vittima ti ricattava) però, per favore, preferirei che non abusassi di questo meccanismo, se sei uno che sforna due libri l’anno come la Christie, il ricattatore da uccidere metticelo solo ogni tanto, sennò mi sembrerà di leggere sempre lo stesso libro.
Secondo me nella vita reale ci sono meno ricattatori che nell’universo dei romanzi gialli. Là chiunque, apparentemente, può ambire a rientrare nella categoria: distinti gentiluomini, esimi psichiatri, casalinghe bonarie. Io, se anche fossi testimone di un delitto, forse perché ho letto tanti gialli avrei una paura boia a ricattare il colpevole.
Non voglio mica finirci dentro, in un giallo.
No, io farei finta di niente.