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Riflessioni domenicali

Da Lara

Democrazia e progetto di autonomia
Da una intervista a Cornélius Castoriadis, di Olivier Morel
(stralci)


 La storia dell’umanità non è la storia della lotta di classe, è la storia degli orrori, anche se non solo di quella. C’è, è vero, da risolvere il problema del totalitarismo: si tratta, come io penso, dell’ovvia conseguenza dell’eccesso di controllo all’interno di una cultura che era in grado di produrre strumenti di sterminio e di indottrinamento a un livello prima sconosciuto nella storia? Oppure di un destino perverso immanente alla modernità in quanto tale, con tutte le ambiguità di cui è portatrice? O, ancora, di altro? 
In questa nostra discussione, si tratta di un problema che oserei definire teorico, perché l’Occidente ha rivolto gli orrori del totalitarismo contro se stesso (ebrei compresi). Non è stato Lenin a dichiarare “sterminateli tutti, Dio riconoscerà i suoi”, ma un cristianissimo duca del XVI secolo; così come i sacrifici umani sono stati abbondantemente e regolarmente praticati nelle culture non europee.
Ma c’è un elemento che è specificamente occidentale e che possiamo definire il pesante privilegio dell’Occidente: la sequenza storico-sociale che comincia con la Grecia e che viene ripresa, a partire dall’XI secolo, in Europa occidentale, è la sola e unica nella quale si veda emergere un progetto di libertà, di autonomia individuale e collettiva, di critica e di autocritica: la capacità di autodenuncia dell’Occidente ne è la conferma più evidente. In Occidente, siamo capaci (almeno una parte di noi) di denunciare il totalitarismo, il colonialismo, la tratta degli schiavi o lo sterminio degli Indiani d’America. 
Invece non ho mai sentito i discendenti degli aztechi, gli indù o i cinesi fare un’autocritica analoga, e ancora aspetto di sentire i giapponesi denunciare le atrocità da loro compiute durante la Seconda Guerra Mondiale.
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Il capitalismo non ha bisogno di autonomia, ma di conformismo. Il suo trionfo attuale sta proprio nel fatto che viviamo in un’epoca di conformismo generalizzato – non solo per quanto riguarda i consumi, ma anche la politica, le idee, la cultura.
 La democrazia è stata una creazione greca – creazione certo limitata, perché c’erano la schiavitù, la sottomissione delle donne e
via dicendo. Ma l'importanza di questa creazione era l’idea, inimmaginabile nel resto del mondo, che una collettività potesse
esplicitamente auto-istituirsi e auto-governarsi.
 (...)
Tra le creazioni della storia umana, una è straordinaria: quella che permette a una società di mettersi essa stessa in questione: creazione dell’idea di autonomia, di ritorno riflessivo su di sé, di  critica e di autocritica, di interrogazione che non conosce né accetta limiti. Creazione, dunque, allo stesso tempo, della democrazia e della filosofia. Come il filosofo non accetta
limiti esterni al suo pensiero, così la democrazia
non conosce limiti esterni al suo potere istituente
– i suoi soli limiti risultano dalla sua autolimitazione
Riflessioni domenicali Sappiamo che la prima forma di questa creazione è quella nata nella Grecia antica; sappiamo – o dovremmo sapere – che essa è stata ripresa, con altri caratteri, in Europa occidentale già a partire dall’XI secolo, con la creazione dei primi comuni borghesi che rivendicavano il loro auto-governo; e poi ci sono stati il Rinascimento, la Riforma, l’Illuminismo, le rivoluzioni del XVIII e XIX secolo, il movimento operaio e, più di recente, altri movimenti di emancipazione. In tutto questo Marx e il marxismo rappresentano solo un momento, importante per certi aspetti, catastrofico per altri. 
Ed è grazie a questa serie di movimenti che sussiste, nella società contemporanea, un certo numero di libertà parziali, essenzialmente negative e difensive, cristallizzate in alcune istituzioni: diritti umani, non retroattività delle leggi, separazione dei poteri, e così via. Queste libertà non sono state concesse dal capitalismo, sono state strappate e imposte da lotte secolari. Sono quelle stesse libertà che fanno del regime politico attuale non una democrazia (non è il popolo che detiene ed esercita il potere), ma un’oligarchia liberale. Regime bastardo, fondato sulla coesistenza tra il potere dei ceti dominanti e una contestazione sociale e politica quasi ininterrotta.
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Non è affatto certo che il regime potrà continuare a funzionare con una popolazione di cittadini passivi e di salariati rassegnati.
Innanzi tutto, dalla nostra discussione dobbiamo lasciare fuori l’idea di “progresso”. 
Nella storia, il progresso esiste solo in senso strumentale. Con una bomba H possiamo uccidere molte più persone che con un’ascia di pietra, e la matematica contemporanea è molto più ricca, potente e complessa dell’aritmetica dei primitivi. 
Ma un dipinto di Picasso vale né più né meno quanto i graffiti di Lascaux e di Altamira, la musica balinese è sublime e le mitologie di tutti i popoli sono di una bellezza e di una profondità straordinarie. E se ci spostiamo sul piano morale, non dobbiamo fare altro che guardarci intorno per smettere immediatamente di parlare di “progresso”. Il progresso è un’idea essenzialmente capitalistica 
Dovremmo volere una società in cui i valori economici cessino di essere centrali (o unici), in cui l’economia torni a occupare il ruolo di mezzo e non di fine ultimo, in cui si rinunci alla corsa folle al consumo sempre crescente.
Questo non è necessario solo per evitare la distruzione definitiva dell’ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per far uscire l’uomo contemporaneo dalla miseria psichica e morale.
Bisognerebbe che gli esseri umani (parlo ora dei paesi ricchi) accettassero un livello di vita decente ma frugale e rinunciassero all’idea che l’obiettivo centrale della loro vita è l’aumento dei consumi del 2 o 3% all’anno. 
Perché accettino tutto questo, il senso delle loro vite dovrebbe essere altro. Io so che cos’è ma, certo, bisognerebbe che la maggioranza della gente lo accettasse. È lo sviluppo degli esseri umani invece dello sviluppo dei beni di consumo
Ciò comporterebbe una riorganizzazione del lavoro che dovrebbe diventare un campo in cui si dispiegano le capacità umane; ma anche altri sistemi politici, una democrazia vera che porti alla partecipazione di tutti alle decisioni, un’altra organizzazione della paideia per formare cittadini capaci di governare e di essere governati, come diceva mirabilmente Aristotele. 
Non è che io non veda i problemi immensi che una riorganizzazione del genere comporterebbe. 
Tra tutti, quello del funzionamento di una vera democrazia, non per trentamila cittadini, com’era nell’Atene classica, ma per i cinquanta milioni di un paese europeo, o per i miliardi di individui che abitano il pianeta. Problemi difficilissimi ma, secondo me, ancora risolvibili, a condizione che la maggioranza degli esseri umani e le loro capacità si mobilitino per creare le soluzioni, invece di preoccuparsi di sapere quando potrà comprare una televisione in 3D. Questo è il compito che abbiamo davanti – e la tragedia del nostro tempo è che l’umanità occidentale non se ne occupa. Per quanto tempo questa umanità resterà ossessionata dalle stupidaggini e dalle illusioni che si chiamano merci?
Una catastrofe qualsiasi, ambientale, per esempio, potrebbe portare a un brusco risveglio? O un regime autoritario o totalitario? Nessuno può rispondere a questo genere di domande. Ma quello che si può dire è che coloro che hanno coscienza della gravità della situazione hanno il dovere di parlare, di criticare questa corsa verso l’abisso, di cercare di risvegliare le coscienze dei loro concittadini.
Cornelius Castoriadis
Da http://www.parodos.it/news/castoriadis.htm


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