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Risiko finanziario: l'Italia in libertà vigilata

Creato il 08 agosto 2011 da Elvio Ciccardini @articolando
Risiko finanziario: l'Italia in libertà vigilataLa giornata di oggi, per quanto inusuale, è davvero sorprendente. Mi riferisco ovviamente all'unica notizia persistente nei quotidiani: la crisi finanziaria.
Per la prima volta Berlusconi si è accorto di essere stato commissariato. E' la prima volta, a memoria, che uno Stato venga commissariato ancor prima di essere fallito. L'Europa pretende dall'Italia le riforme e, tra queste, l'avvio di un piano di privatizzazioni. Il governo italiano non è più sovrano. Ammesso che con Berlusconi si potesse parlare di vera democrazia, oggi, l'Italia è una repubblica, fondata sul lavoro, in cui la sovranità non spetta più al popolo. Lo stesso è accaduto in Grecia.
Per quanto possano essere corrotti i meccanismi democratici di una nazione, quando la politica deve necessariamente obbedire ad altre istituzioni internazionali, la macchina democratica cede il passo ad altri sistemi.
Se ci pensiamo bene, oggi, siamo in una situazione molto simile a quella pre-rivoluzione francese. La nobiltà e il clero di una volta, oggi si chiamano "casta", senza avere nulla di casto. L'immobilità sociale dell'epoca, in chiave moderna, si ripropone con un declino sociale che caratterizza le nuove generazioni in maniera drammatica. Dopo un pò il terzo stato ha preso il potere. Oggi abbiamo la pancia ancora grassa dai banchetti del passato, ma non siamo abituati alla fame...
Se ci si riflette bene l'unica vera classe dirigente dei tempi contemporanei è quella del "manager". I managers, tuttavia, non hanno studiato filosofia, diritto, storia o altra meteria che promuovesse comportamenti ed una visione etica della società. I manager nascono da tecnicismi e si nutrono di piani strategici per raggiungere obiettivi di pochi, meglio se di breve periodo.
Da questa evoluzione sociale della figura di "chi governa", nasce la debolezza di una politica non competente, rispetto ai "tecnicismi" e priva di "visione valoriale". Poichè i "mercati" nascono senza valori.
I grandi della finanza non sono i consiglieri del "RE", cioè della classe dirigente di turno. Ma sono i "giudici" di chi, eletto dal popolo, non può prescindere dalla loro approvazione. Riferendoci sempre al passato, con le dovute differenze, gli inquisitori erano uno strumento del clero e non i giudici di quest'ultimo. Oggi, gli inquisitori dettano le agende e le politiche pubbliche.
Sono i mercati, infatti, ad approvare le politiche pubbliche e non la politica a controllare e governare i mercati. Questa classe dirigente scellerata, tuttavia, non ha visioni di lungo termine. Se così non fosse, non avrebbero finanziato intere famiglie americane che non fornivano le dovute garanzie di restituzione dei loro prestiti.
Ancor peggiore è il loro comportamento di fronte alle situazioni di crisi e di incertezza. Come femminucce non hanno sangue freddo. Alla prima avvisaglia vendono titoli, presi dal panico. Innescando spirali dantesche, che poi qualcuno pagherà. Se un domani, però, si dovesse riscontrare che sono i mercati a sbagliare, chi pagherà? Probabilmente nessuno di loro e tutti noi, come già accaduto.
Eppure la società di oggi dovrebbe più realisticamente affrontare nuove sfide, che non hanno precedenti nella storia. Il capitalismo ha ceduto il passo, come forma strutturale di organizzazione del mercato. Le sfide ambientali mettono tutti davanti ad un fatto compiuto: la terra, con le sue ricchezze, è l'unico vero bene comune che ci appartiene e che dobbiamo iniziare a preservare. Gli stili di vita dovrebbero modificarsi di conseguenza.
Non è più pensabile ubriacare l'umanità di becero e mero consumismo. Inoltre esistono nazioni intere che sono state soggiogate, depredate ed umiliate dall'arroganza di una cultura occidentale dominante. Questi crimini contro l'umanità devono essere riletti, storicizzati, pagati.
Al contrario, noi ci occupiamo dei mercati, quando, in realtà, dovremmo pensare a come liberarci dai mercati. Dovremmo pensare a quale ruolo dare all'uomo nel nuovo mondo e a come fare prevalere logiche di conservazione di lungo periodo. Dovremmo riflettere sull'importanza della diversità culturale, come strumento di crescita collettiva per evitare il "divide et imperat" che ha segnato la storia.
Di fatto il "rating", come viene interpretato oggi, è una misura di "influenza" e di potere. Di certo non rispecchia la salute del sistema economico di un paese. Se la finanza è in grado di condizionare un governo, allora il rating di una nazione scende. In caso contrario, i mercati si adeguano alle politiche economiche del governo forte. Si opera in perfetta asimmetria. Non è un caso che, attraverso "il rating", i governi vengono portati al fallimento, o al commissariamento, come è avvenuto per l'Italia.
Eppure basterebbe rivendicare la propria sovranità. In primis, quella monetaria, poi quella relativa al diritto di decidere sulla regolamentazione del sistema economico e finanziario.
E' vero che il valore di un faraone si vedeva dalla grandezza della propria piramide costruita nel sangue degli schiavi, ma è pur vero che quando le acque si sono divise, gli schiavi sono fuggiti. Esiste sempre, in ogni epoca, una contro-classe che, da contropotere, scuote i popoli indicando loro la strada per migliori condizioni di vita. Peccato che, per arrivarci, si debba sempre passare per guerre e conflitti.

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