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Rivolte senza capi

Creato il 12 dicembre 2013 da Casarrubea
manifestazioni a Torino

manifestazioni a Torino

L’Italia è in subbuglio. Lo è sempre stata, ma mai è venuta a trovarsi nello smarrimento in cui è ora. Per cause interne e internazionali. Ecco perché a tutti quelli che dicono: – tanto peggio, tanto meglio -, rispondo che al peggio non c’è mai fine e che, a chiunque abbia un minimo di senso civico e non voglia giocare allo sfascio per sé e per i suoi figli, conviene scegliere la strada migliore tra tutte quelle che ci si parano davanti, una più difficile dell’altra.
La confusione deriva dalla scomparsa del vecchio sistema dei valori e dei partiti, e dalla difficoltà di rappresentanza politica e sindacale che ha sorretto finora società e mondo del lavoro. E’ logico, pertanto, che con il venir meno di tutte le coordinate che ci hanno tenuto in piedi, a cominciare dal lavoro come valore fondamentale della nostra Carta costituzionale, l’intero impianto dello Stato vacilli. Il governo tira avanti a furia di cambiali, il parlamento è di fatto esautorato e la magistratura subisce il ricatto persino di uno che se ne sta tranquillamente in galera a dettare proclami di morte a destra e a manca. Rispetto a tutto questo bailamme ci sono anche delle responsabilità precise, perché non è da oggi che si soffia sul fuoco e che si fanno spirare nell’aria venti di guerra. In altri paesi dell’Europa, non è così. Persino in Irlanda, in Grecia e in Spagna, ci si rimbocca le maniche e ciascuno cerca di dare un contributo come meglio può. Da noi questa aspirazione è assai carente. Si continua a gridare su tutto in contemporanea. Ormai l’incomunicabilità ha oltrepassato la soglia della tolleranza, ed io stesso, quando alla televisione due persone parlano assieme senza che nessuno capisca nulla, cambio canale. L’aggressione alle persone è già fuori decenza da un pezzo. Continuare a cercare di ascoltare è patologico.

Indro Montanelli, che fu un giornalista cresciuto costantemente con la puzza sotto il naso, ebbe ragione quando invitò gli italiani a votare turandosi il naso, perché non vedeva alternative a un governo con la Dc. Erano altri tempi e quest’uomo non pensava che gli italiani si dividessero in furbi o fessi, ma fossero nello stesso tempo furbi e fessi. Un po’ volpi e un po’ conigli. Avrebbero accettato un dittatore per paura o per pigrizia in quanto avrebbero trovato più comodo avere un solo padrone da servire. Con il passare del tempo la circostanza si ripete in modo diverso. Ciascuno grida perché vuole essere ascoltato o perché abusa della sua responsabilità. Cioè non ha il senso della democrazia e dei diritti altrui. Berlusconi e Grillo ce lo dimostrano, ma ce lo dimostra anche Renzi se è vero che il popolo del Pd prende la scorciatoia del sindaco fiorentino, pur consapevole che non farà nulla di meglio di Epifani, Bersani o Prodi. Tutti consegnati, da un giorno all’altro, al neolitico. E purtroppo si sa. In un Paese dove si ragiona sempre meno e dove l’istinto delle piazze prevale sulla ragione, è facile che gli italiani, che sono sostanzialmente servitori, trovino un nuovo padrone.

Un Grillo qualsiasi che, diceva Montanelli, è la versione genovese del folletto dispettoso delle fiabe, rigurgito della nostra cattiva coscienza.

Forse solo la politica sociale del Vaticano ci potrà salvare. Non lo dico con ironia, o per reminiscenze scolastiche del neoguelfismo. Tra i papi di questo secolo e di quello passato, da Pio XII in poi, a parte Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I,  Bergoglio è in assoluto quello che più rivoluziona lo stile rendendolo aderente alla quotidianità. Fino a Francesco i papi hanno avuto una loro lontananza, un loro distacco più o meno accentuato rispetto agli uomini. In loro, possiamo dirlo, la nozione di popolo è stata sempre assente. Un tempo piazza San Pietro era il luogo dove si ricevevano le benedizioni domenicali, oggi è diventato un luogo di incontro, e in  qualche caso di scambio. Qui il popolo dei fedeli è benedetto, e lo stesso papa chiede di essere anche lui benedetto. In una sintonia bidirezionale perfetta. Papa Bergoglio è vescovo della chiesa di Roma e capo del cattolicesimo nel mondo. Uno che detta la linea. Abbiamo bisogno di questo?

Questa nozione di popolo, con le sue aperture democratiche spinge non pochi intellettuali laici e di sinistra ad avvicinare questo papa che a Francesco d’Assisi ha dedicato il suo pontificato. Dunque, siamo di fronte a un evento straordinario, anche se qualche settimana fa Lucia Annunziata che dirige la rubrica “In mezz’ora”, si è vistosamente infastidita quando, intervistando un dirigente del Pd, lo ha pregato di non parlare di questo tema che per lei è forse ormai obsoleto. Ma non lo è affatto.

 Il mondo di oggi è visto con gli occhi di chi sa quello che sta accadendo: sul piano planetario e su quello delle misere cose di casa nostra. Ma la differenza tra tutti noi e il resto del mondo è sostanzialmente segnata dal fatto che la nostra visione delle cose è molto provinciale e la nostra coesione nazionale è attraversata dall’imbarbarimento continuo. Mi viene da dire: meglio il papa che quando parla di acqua e di fame sa a che cosa si riferisce.

Siamo nel pieno di una crisi che investe tutta la politica e i partiti ai quali ci eravamo abituati un tempo, quando bastava un leader per renderci sicuri.  Dentro non c’è solo la crisi che ha travagliato la Chiesa sotto il pontificato di Benedetto XVI, ma l’avvertita gravità del peso che ne deriva. Riflesso e segno del più vasto travaglio globale. Dentro ci siamo noi, con tutti i nostri problemi, le piazze in rivolta, i movimenti che non riescono ad avere un interlocutore, le vicende quotidiane del popolo a cui è difficile rispondere. Perché il mondo è in mano ai banchieri, agli opportunisti, a quelli che hanno fatto del denaro il loro dio. Ma i problemi reali sono diversi e riguardano i diritti degli esseri umani: quelli primordiali. All’acqua, alla casa, al lavoro, alla pace e allo sviluppo. Alla pace, che ci spiegava Danilo Dolci non è il quieto vivere o la quiescenza, ma una lotta continua per cambiare il mondo. Un modo di essere rivoluzionari. Non è un caso che uomini come “Pino” Solanas ed Eugenio Scalfari incontrino Francesco. Uno dei pochi interlocutori che oggi può ascoltarli. E se questo accade ai laici ne dovremmo essere lieti tutti, perché finalmente c’è una prospettiva che sembra unire il mondo cattolico a quello della contemporaneità, travagliata da comuni pericoli e dalle stesse difficoltà che rendono gli uomini uguali di fronte ai rischi di un futuro di guerre e di autodistruzione.

Giuseppe Casarrubea


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