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Se sono le piccole cose a fare l'uomo, per Roberto saviano, scrittore conosciuto universalmente per il libro denuncia "Gomorra" e più ancora per il film con lo stesso titolo tratto dal racconto, queste dimostrano che anche per gli scrittori impegnati è difficile rimanere con i piedi ben ancorati a terra e non farsi travolgere dal successo e dalle lusinghe degli adulatori che questo richiama a frotte.
Già la scorsa primavera, durante le sue apparizioni nella trasmissione televisiva, pure quella di gran successo, "Vieni via con me" ebbi modo di scrivere qualche riflessione molto critica sullo scrittore casertano, del quale aspettiamo ancora l'opera seconda. Certo che il titolo "Roberto Saviano: ieri un mito oggi un mitomane", poteva sembrare eccessivo, ma gli ulteriori sviluppi della carriera, più mediatica che letteraria, del famoso scrittore sembrano però confermare quel giudizio severo.
Tralasciamo pure la ridicola apparizione del vate anti camorra a Zuccotti Park, completamente ignorata dai media americana e glorificata in Italia solo da Repubblica, quando perfino il Corriere, giornale sul quale lo scrittore pubblica i suoi articoli, ha preferito glissare sulla promozionale passeggiata newyorkese de ragazzo di Caserta, ma sull'errore ortografico commesso e poi difeso e giustificato non si può tacere.
Le regole della lingua italiana parlano chiaro: si scrive qual è e non qual'è.
Sarebbe bastato da parte di Saviano il riconoscere l'erore e giustificarlo con la fretta, la scarsa attenzione prestata a quanto stava battendo sulla tastiera del Pc, che lo stesso mezzo che stava usando, Twitter, con la sua limitazione nel numero dei caratteri a disposizione per scrivere indulge a usare un linguaggio familiare, poco pretenzioso e facilita l'errore ortografico.
Errore ortografico che in realtà facciamo tutti noi dattilografi improvvisati, sia se siamo autori raffinati sia se siamo avventizi della letteratura e sarebbe opportuno non fare un dramma se qualcuno ce lo fa notare.
Un dramma inscenato invece da Roberto Saviano che, invece di correggere l'errore e ringraziare coloro che l'avevano corretto , ha preferito attaccare a testa bassa rivendicando per se il suo diritto di scrivere in modo errato, al pari di "Pirandello e Landolfi", issandosi sul podio del premio Nobel.
Lascio agli esperti le evidenti implicazioni psicoanalitiche della reazione dello scrittore, che mi appare molto simile a quella che ebbe Daniele Luttazzi, altro guru del radicalismo chic, quando cominciarono a circolare le accuse di plagio sulle sue battute, per evidenziare invece le reazioni di quanti da anni ormai hanno fatto di saviano il proprio leader spirituale.
Si va dalla giustificazionismo tipico del compagno di partito, come quella del giornalista del Corriere Beppe Severgnini (una delle prime firme del giornale milanese, tanto per far capire dove siamo arrivati), che elogia "la genuinità dell'errore" ed assolve il compagno di banco, alle reazioni irate dei più umili seguaci e lettori del Vate Campano, tipiche, ahinoi, di chi è convinto di seguire un capo consacrato, l'unto del Signore.
Perché è questa la conclusione del discorso: gli italiani tutti, o quasi, aspettano sempre un Unto del Signore che li liberi dal Male, incapaci evidentemente di pensare con le proprie teste e agire secondole proprie volontà, perfino se ha l'aspetto improponibile per un condottiero di Roberto Saviano.
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