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Rookie of the Year: Carter-Williams in pole position

Creato il 09 gennaio 2014 da Basketcaffe @basketcaffe

Due mesi abbondanti sono trascorsi dall’inizio della regular season NBA e quindi sembra giunto il momento di abbozzare un primo bilancio per quello che concerne i rookies, i debuttanti. In attesa del Draft 2014, considerato uno dei più talentuosi e profondi di sempre, diamo un’occhiata a quelli che sono i giocatori chiamati al Draft 2013. Dei primi 6 giocatori chiamati, a parte Oladipo e un po’ Cody Zeller, gli altri sono ingiudicabili tra infortuni – Porter, Len e Noel – e un grosso ritardo nell’adattamento alla Lega – Bennet, la prima scelta assoluta. Victor Oladipo sta facendo molto bene a Orlando, Trey Burke da quando è tornato dall’infortuno ha preso in mano gli Utah Jazz, a sprazzi Caldwell-Pope, McLemore e Antetokounmpo fanno intravedere il loro talento. Ma chi ha davvero fatto saltare il banco è Michael Carter-Williams, asso dei Philadelphia 76ers, 11a chiamata assoluta e reduce da due anni in chiaroscuro a Syracuse.

MCW, Michael Carter-Williams, playmaker atipico di quasi due metri che ricorda Shaun Livingston, ha preso subito il timone di Phila, consegnatogli da coach Brett Brown. Nell’opening night, davanti agli occhi di Allen Iverson e contro LeBron James, ha schiantato i Miami Heat sfiorando la quadrupla doppia: 22, 12 assist, 7 rimbalzi e 9 recuperi. I suoi numeri sono stati pazzeschi: 26 e 10 assist nella terza gara, 29 punti contro la difesa dei Pacers, tripla doppia da 27, 12 rimbalzi e 10 assist contro i Bobcats e per chiudere è arrivato il career high da 33 punti contro Cleveland il 7 gennaio. I Sixers sono 1-11 senza di lui e 11-12 con lui (4-2 nell’ultimo tour a Ovest con vittorie su Lakers, Nuggets, Kings e Blazers), a conferma di quanto sia fondamentale per gli equilibri della squadra. MCW continua a faticare nel tiro da tre punti (sotto il 30%) e perde parecchi palloni (3.4 a sera) ma comanda ogni categoria statistica fra i rookies: 17.7 punti, 5.7 rimbalzi, 7.1 assists e 2.7 recuperi. A questo punto il titolo di Rookie dell’Anno può solo perderlo.

Gli unici a poter ambire a spodestare il trono di MCW sono Victor Oladipo e Trey Burke, due che hanno avuto subito impatto anche perchè forgiati da una carriera collegiale molto solida nella Big Ten a Indiana e Michigan. Oladipo sta lavorando per diventare la stella dei Magic, coach Vaughn fn dalla Summer League gli ha messo la palla in mano nella speranza che diventi una sorta di Russell Westbrook e il ragazzo di origini nigeriane, che nel frattempo è entrato nella scuderia Jordan (per le scarpe) ed è diventato testimonial di NBA Live 14 di EASports, apprende come una spugna e lavora senza sosta. Viaggia a 13 punti, 4.4 rimbalzi e 3.6 assists in 30 minuti sul parquet e nel mese di dicembre è stato Rookie del Mese a Est, premio che Orlando non vedeva dai tempi di Mike Miller. Deve migliorare a difesa schierata e nel tiro da fuori mentre se ha campo aperto davanti è devastante. Da ricordare la gara persa a Philadelphia il 3 dicembre 126-125 nonostante la tripla doppia da 26 (career high), 10 e 10.

Burke, che lo scorso anno ha portato Michigan fino alla finale NCAA, poi persa con Louisville, ha debuttato solo il 20 novembre dopo la frattura alla mano in preseason. Il ragazzo di Columbus ha preso subito in mano i Jazz e dopo l’1-11 iniziale, la squadra di coach Corbin è 11-14 e comunque ha maggiori equilibri con lui, Hayward e Favors. Per Burke c’è un importante paragone con Damian Lillard e lo ricorda per la capacità di essere solido, concreto, sotto controllo e bravo a mixare gioco individuale e coinvolgimento dei compagni. Le percentuali non sono granchè (38% dal campo, 33% da tre) ma 13 punti, 3.4 rimbalzi e 5.2 assist con meno di 2 perse a sera sono cifre apprezzabili. E’ lui il generale che deve portare i Jazz alla rinascita.

Sorprendente nel disastro dei New York Knicks è Tim Hardaway Jr., ex compagno di Burke a Michigan, che è il rookie forse più produttivo in rapporto ai minuti giocati. Segna 8.5 punti in poco più di 18 minuti ma soprattutto dà ai Knicks atletismo, tiro da fuori e aggressività sui due lati del campo. Più difficile inquadrare Ben McLemore, la guardia dei Sacramento Kings, ex Kansas, autore fin qui di una stagione ricchissima di alti e bassi: è un atleta clamoroso, capace di schiacciate sensazionali, cui abbina un tiro bellissimo da vedere, ma spesso commette errori imperdonabili, si estranea totalmente dal gioco e le sue percentuali sono molto basse (34% da tre). Viaggia a 8 punti a sera con un massimo di 20 nelle sconfitte di Miami (sfortunato protagonista di una tremenda schiacciata di LBJ) e di LA contro i Lakers ed è stato Rookie del Mese a Ovest a novembre.

Chiusura per Giannis Antetokounmpo e Anthony Bennett, i due ‘international’, il greco e il canadese. Giannis, l’uomo del mistero dell’ultimo Draft, appena 19 anni, sta pian piano trovando spazio ai Milwaukee Bucks (anche 10 gare in quintetto dopo che all’inizio in 5 occasioni non vide il campo) cui fornisce il suo gioco a tutto campo, l’atletismo e quelle leve lunghissime capaci di arrivare dappertutto e anche di un discreto tiro (31% da tre). Ha esplosioni atletiche pazzesche, soprattutto a rimbalzo, ed è bravo ad andare cost-to-coast a segnare: viaggia a quasi 7 punti e 5 rimbalzi di media in 22 minuti. Da Bennett, prima scelta assoluta, ci si aspettava di più ma l’infortunio e l’operazione alla spalla lo hanno rallentato parecchio e, già svantaggiato dall’avere un ruolo tutt’altro che chiaro (3? 4?), si è presentato in una forma fisica rivedibile a maggior ragione per un coach, Mike Brown, che ha il suo credo in intensità e difesa. Viaggia a 2 punti e 2 rimbalzi di media in 10 minuti sul parquet (27% al tiro), si è preso spesso i fischi del pubblico e ha segnato il suo primo canestro dal campo soltanto alla quinta gara, a Milwaukee, dopo 15 errori. Non è mai andato in doppia cifra ma è ancora presto per definirlo un bidone: il tempo è dalla sua parte, come per tutti gli altri rookies del resto.


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