di Filippo Urbinati
Poco meno di un decennio fa, nel 2006, Fiona Hill e Omer Taspinar scrissero un suggestivo saggio dal titolo Turkey and Russia: Axis of the Excluded? [1]. L’articolo analizzava le relazioni che si stavano consolidando dall’inizio degli anni 2000 che, in quel periodo, avevano raggiunto un notevole grado di profondità al punto dall’essere considerate le più cordiali di sempre.
Le caratteristiche di tale asse erano molteplici; un rapporto privilegiato tra i due leader (Putin ed Erdoğan) che incontravano una serie di affinità nello stile adottato tanto negli affari domestici quanto nella proiezione esterna. Entrambi stavano portando avanti campagne di riabilitazione del passato imperiale (zarista e ottomano) considerati come i capisaldi della propria identità. In Turchia tale operazione si poneva in contrapposizione con l’occidentalizzazione imposta dal kemalismo, in Russia essa rappresentava un recupero dell’orgoglio nazionale che era stato schiacciato dopo la fine della Guerra Fredda e la caduta dell’Unione Sovietica. Un secondo fattore era rappresentato dalla proiezione regionale: sia Ankara sia Mosca non vedevano di buon occhio gli sviluppi ai propri confini. Le rivoluzioni colorate in Ucraina e Georgia venivano percepite per lo più come fattori di destabilizzazione in grado di innescare i separatismi nel Caucaso Settentrionale e nel Kurdistan turco. Dopo la crisi che ha coinvolto il leader del PKK Abdullah Öcalan (fuggito dalla Siria e riparato a Mosca) nel 1998, i due Paesi hanno deciso di adottare una politica di basso profilo chiudendo un occhio, quando non tutti e due, sulle misure adottate per sconfiggere i rispettivi separatismi. A dare l’avvio a questa strategia era la stata la guerra in Iraq del 2003, nella quale Ankara si era rifiutata di fornire appoggio logistico alla coalizione dei volenterosi voluta da George W. Bush. I due Paesi si erano trovati affini anche in quella che Hill e Taspinar definiscono la “Paranoia del Mar Nero” [2]. Questo mare è da sempre considerato dai due Paesi come un affare privato che coinvolge esclusivamente gli Stati rivieraschi e soprattutto Ankara e Mosca, che da secoli esercitano il proprio dominio nello specchio d’acqua delimitato dallo stretto del Bosforo. La proiezione americana era vista come un elemento in grado di minare, con il pretesto della democratizzazione lo status quo. Un terzo fattore è quello che riguarda il commercio bilaterale. Attraverso la pipeline Blue Stream, inaugurata nel 2003, veniva trasportato il 70% del gas naturale importato dalla Turchia facendo dell’oro blu la voce più rilevante di una relazione commerciale che era raddoppiata nel biennio precedente, il tutto accompagnato da un sempre più stretto rapporto che coinvolgeva anche il settore industriale (con numerose compagnie turche impegnate in terra russa) e il turismo (che poneva la Turchia ai primi posti tra le destinazioni preferite dalla popolazione russa).
La tesi centrale del saggio è che tale relazione, con le caratteristiche sopra indicate, non fosse frutto di una reale consonanza strategica quanto il risultato di un senso di esclusione dovuto alla politica americana [3]. La personale affinità dei due leader non si traduceva però in una relazione di amicizia di ampio respiro, in grado di coinvolgere l’intero apparato statale. Specialmente in ambito militare, infatti, persisteva una certa sfiducia nei confronti del partner transcaucasico e, anche a livello di opinione pubblica, la percezione dell’“altro” continuava ad essere minata dai timori derivanti dalla pluri-secolare inimicizia [4]. A questo si aggiunga che le collaborazioni commerciali continuavano ad essere accompagnate da una persistente rivalità nel settore energetico, in particolare per quel che riguarda lo sfruttamento delle risorse del Caspio. Il revival imperiale si concentrava sull’opposizione all’occidente tralasciando l’atavica rivalità tra la Russia zarista e l’Impero Ottomano ancor più accentuata nel momento in cui la discussione si spostava sul Mar Nero.
Negli anni successivi quella relazione come era stata espressa da Hill e Taspinar avrebbe perso di cogenza, i due Paesi si sarebbero trovati contrapposti su numerose questioni internazionali, non ultima in quella che, a dispetto delle previsioni iniziali, si sta rivelando come una delle più durature crisi dell’ultimo decennio, cioè la guerra civile siriana.
Ciononostante, con una mossa a sorpresa, a metà dicembre Putin ha deciso di porre fine al progetto del South Stream sostituendolo con un asse privilegiato con la Turchia, il cosiddetto Turkish Stream.
Turkish Stream – Fonte: Gazprom/Russia TodayCon un summit tenutosi il 1 dicembre i due leader hanno deciso di divenire partner strategici stipulando una serie di accordi di assoluta rilevanza. Oltre all’annuncio del Turkish Stream, la Turchia potrà acquistare il gas russo ad un prezzo scontato del 6% rispetto al prezzo di mercato e il flusso aumenterà di tre miliardi di metri cubi rispetto a quanto originariamente previsto. Inoltre, la Federazione Russa aumenterà vistosamente l’acquisto di frutta e verdura dalla Turchia per compensare le restrizioni che la stessa Russia ha posto in quest’ambito nei confronti dell’Unione Europea come conseguenza delle sanzioni economiche legate alla crisi ucraina [5]. In aggiunta, sono state anche previste collaborazioni in ambito high tech e si è discusso della tutela dei tatari di Crimea. Infine la compagnia russa Rosatom è stata incaricata di costruire l’impianto nucleare di Akkuyu che, con una capacità di 4800 MW, coprirà il 16% della domanda energetica turca. Complessivamente due compagnie statali russe, Rosatom e Gazprom, controlleranno il 74% del mercato energetico turco nel prossimo futuro [6].
Questa forte interdipendenza, che potrebbe creare problemi in futuro [7], sembra derivare, più che da un progetto a lungo termine, da una serie di circostanze che hanno portato i due Paesi ad essere ai ferri corti con il mondo occidentale, l’Europa più degli Stati Uniti rispetto al passato, e a trovare l’uno nell’altro un’ancora di salvezza. Quasi citando, forse involontariamente, il saggio di Hill e Taspinar, BBC Turkish Service ha descritto l’incontro tra Putin ed Erdoğan come un “summit of precious loneliness” [8]. Con il grado di interdipendenza che si sta costruendo non è detto che questa si rivelerà un’opzione praticabile per i decision maker di domani.
* Filippo Urbinati è Dottore in Relazioni Internazionali (Università di Bologna)
[1] Fiona Hill and Omer Taspinar, Turkey and Russia: Axis of the Excluded?, in “Survival: Global Politics and Strategy”, Vol. 48, N° 1, pp. 81-92, 2006.
[2] Ivi, p. 88.
[3] Ivi p. 90.
[4] Turkish citizens mistrust foreigners, opinion pool says, in “Hurriyet Daily News, February 5, 2011.
[5] Yaşar Yakiş, Putin’s visit to Turkey, in “Today’s Zaman”, December 10, 2014.
[6] Zülfikar Doğan, Energy deals may make Turkey irreversibly reliant on Moscow, in “Al-Monitor”, December 12, 2014.
[7] In particolare potrebbe nel lungo periodo minare la buona riuscita del progetto TANAP-TAP finalizzato a rifornire i mercati europei con il gas proveniente dai bacini del Caspio, in particolare dall’Azerbaijan, si veda in proposito, Barçın Yinanç, Russian project jeopardizes Turkey’s energy advantage, “Hurriyet Daily News”, December 29, 2014.
[8] Turkey turns gaze from EU to Russia, in “Today’s Zaman”, December 2014.
Photo credits: Reuters/Japan Times
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