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Salviamo Kate e le altre

Creato il 05 settembre 2011 da David Incamicia @FuoriOndaBlog

Salviamo Kate e le altre
 
Kate Omoregbe è una giovane donna nigeriana di religione cristiana, attualmente reclusa in Calabria nel carcere di Castrovillari. Arrestata perchè nell'appartamento in cui viveva assieme a un'altra ragazza venne trovata della droga, si è sempre professata innocente. I termini per la scarcerazione scadranno solo il prossimo novembre, ma rischia di essere rimessa in libertà a breve per buona condotta e l'immediato rimpatrio in Nigeria, dove ad attenderla c'è una disumana condanna alla lapidazione per essersi rifiutata di sposare un uomo molto più anziano di lei e di convertirsi all’Islam.Per evitare che venga espulsa e che vada incontro a una morte certa, si stanno attivando esponenti del mondo politico e alcune associazioni. La mobilitazione, ovviamente, si è subito diffusa anche sul web, con la pagina No alla lapidazione di Kate Omoregbe aperta su Facebook e con una raccolta firme avviata sul sito di Articolo 21. Nel frattempo, anche nella stessa comunità di Castrovillari si stanno moltiplicando le manifestazioni di solidarietà nei confronti di Kate.Il destino della giovane nigeriana è purtroppo condiviso da molte altre ragazze residenti in Italia, le cui vite sono spezzate già all'età di 12 o 13 anni. Una parte della loro mente vive infatti nel Paese di origine, sottoposta alle continue pressioni dei familiari; un'altra nel Paese che le ha accolte, assieme agli amici che ne favoriscono l'inserimento nella nostra società. Sono poco più che bambine quando cominciano ad avvertire i primi sintomi di questo profondo conflitto interiore.Da piccolissime, quando frequentano ancora le elementari, possono tranquillamente portare i compagni a casa e uscire con loro. Poi, crescendo, tutto diventa improvvisamente proibito e pure una semplice gita con la classe è motivo di sospetto e divieto. Iniziano così le liti per i vestiti, il trucco, le abitudini considerate troppo occidentali. Situazioni che finiscono per rappresentare un ostacolo quasi insormontabile nel loro processo di crescita, e troppo spesso prefino per determinare drammi fra le mura domestiche.Ogni tanto c'è qualche ragazza che sparisce dalle scuole superiori, oppure non rientra dalle vacanze. Perchè le famiglie le costringono a tornare nel loro Paese per farle sposare a vecchi decrepiti che nascondono la propria perversione dietro la fede. Solo nel 2010, nella cittadina inglese di Bradford sono scomparse 200 ragazzine tra i 13 e i 16 anni, figlie di immigrati. In Italia, in proposito, non abbiamo statistiche dettagliate. L’unica stima è del Centro nazionale di documentazione per l’infanzia, secondo il quale le "spose bambine" del nostro Paese sarebbero oltre 2 mila all’anno.Questo succede nonostante in Italia i minorenni non possano sposarsi, perchè esiste una deroga per "gravi motivi". Dai 16 anni di età in poi, il Tribunale per i minori può infatti autorizzare le nozze.  A metà degli anni '90 casi del genere, tutti fra i residenti immigrati, ammontavano a poco più di un migliaio, poi sono via via diminuiti fino ad assestarsi stabilmente nell'ordine dei 200 circa degli ultimi anni, che per le conseguenze sociali e civili rappresentano comunque una enormità.L'ultimo dato disponibile (2007/2008), ci dice che è la Campania la regione in cui ne avvengono di più: in media un'ottantina all'anno. Per la maggior parte si tratta di matrimoni fra stranieri, con in testa le comunità di immigrati da Pakistan, India e Marocco. Numeri che però tracciano solo l’aspetto legale e visibile della questione, considerato che secondo gli esperti del Viminale sono molti di più i legami imposti clandestinamente all’interno delle famiglie e suggellati in qualche moschea o, per l'appunto, nei Paesi d’origine. Si tratta di una situazione di rischio potenziale. Le ragazze immigrate di seconda generazione, nel nostro Paese, sono circa 175 mila. Il matrimonio combinato riguarda però solo alcune comunità: l'indiana e la pakistana più delle altre, in misura minore quelle del Nord Africa. Inoltre, le nozze imposte appaiono come il male minore. Il vero pericolo è che nei prossimi dieci anni esploda la "conflittualità latente" incarnata da ragazze che studiano e si integrano, ma che vivono in famiglie troppo legate alle tradizioni.Molti genitori, come sottolinea l'Associazione dei Giovani Musulmani d'Italia, non hanno un grado di istruzione elevato e dinnanzi a situazioni che stentano a comprendere, e nelle quali intravedono un pericolo, non sanno come reagire. Si chiudono, diventano severi e impongono le regole con l’aggressività. Entrando in conflitto con le figlie che pretendono il dialogo e rivendicano maggiori spazi di libertà.Del resto, la ribellione è complicata. Tanto che a denunciare gli abusi e i maltrattamenti subiti da queste ragazze straniere sono quasi sempre gli amici, i conoscenti, i vicini di casa italiani. Per trovare un equilibrio, le giovani e giovanissime "promesse mogli" cercano uno spazio di negoziato, quasi un rimedio estremo per smettere di soffrire. Che consiste nel trattare la loro condanna.L'Associazione delle Donne Marocchine in Italia, ad esempio, riporta la storia di una giovane marocchina che vive a Milano, che lo scorso anno aderì alla richiesta del padre di sposare un uomo del suo Paese rinunciando al proprio futuro emancipato qui in Italia. Per accettare, ha dovuto però chiedere di poter scegliere tra più opzioni, di vedere almeno tre o quattro possibili mariti. Ciò avviene quando le ragazze non possono, o non vogliono, scardinare il sistema di regole della propria famiglia, ma cercano ugualmente di ricavare spazi minimi di sopravvivenza.Analoga vicenda si riferisce a un’adolescente egiziana, anche lei studentessa "milanese": "Hanno scelto l’uomo per me, non mi oppongo. Ma ho chiesto due cose. Prima del matrimonio volevo vederlo. E poi ho ottenuto una garanzia, una specie di contratto non scritto: dopo il matrimonio potrò continuare la scuola e poi andare all’università per laurearmi".Sono storie di ordinaria inconciliabilità. Che insinuano molti dubbi anche a chi crede sinceramente nel dovere "laico" del dialogo e dell'integrazione. E allora viene da domandarsi se non sia il caso di dare ragione a quanti suggeriscono a gran voce di optare per una forma di “multiculturalismo sostenibile”, privilegiando i rapporti con culture e religioni che come noi mantengono ben distinta la sfera civile dalla fede.Ma forse no, il "noi" e il "loro" qui non c'entrano nulla. Forse è semplicemente una questione di coraggio e di diritti. E la vera domanda da porsi è ancora una volta la seguente: se non ora quando? Kate e diverse altre giovani vite sono "ora" in pericolo, e "ora" vanno salvate. L'auspicio è che l'esempio di quella infinita fiumana rosa, che a più riprese è scesa in piazza in questi mesi per rivendicare fino in fondo l'emancipazione delle donne italiane, contamini le tante ragazze straniere giunte nel nostro Paese per sfuggire alle proprie inique - e sovente stupide - miserie umane e culturali.Salviamo Kate e le altre


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