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Sanremo, 12 Maggio 2012. Convegno “Islam e femminismo”

Creato il 13 maggio 2012 da Giornalismo2012 @Giornalismo2012
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-Di Lara Aisha Bisconzo

Intervento dell’Associazione Donne e Mamme Musulmane.

“La pace sia su tutti voi.

Buongiorno a tutti, innanzitutto mi preme ringraziare Casa Africa nelle persone di Fatima, la presidente e di Marina, nonché Costanza e tutte le altre ragazze che ci hanno invitato a partecipare a questo importante seminario su un tema delicato e quantomai attuale.

Dopo di ciò, ci tengo a sottolineare che sia come persona che come portavoce della mia associazione, Donne e Mamme Musulmane, non credo nel termine “femminismo” così come in quello “maschilismo”. A me piace pensare ad un diverso tipo di movimento, che forzatamente potrei provare a chiamare “umanitarismo”, nel quale, donne e uomini indipendentemente dal loro genere, hanno entrambi il loro giusto spazio per poter contribuire al meglio e rendere attraverso il loro sforzi questo mondo più vivibile.

Sono profondamente certa che ci sia spazio per tutti, nel giusto modo senza però necessariamente rinchiudersi dentro ad un titolo, nemmeno se lo si fa per mera provocazione allo scopo di avere possibilità in più.

Perchè credo fermamente che uomo e donna non sono e non debbono essere rivali, ma anzi: esseri complementari che camminano, secondo il loro modo e le loro capacità soggettive, fianco a fianco verso un obiettivo comune.

E credo anche che siano diversi, l’uomo e la donna. Ma diversi non significa che il primo sia migliore o la seconda inferiore. Hanno diverse peculiarità, talenti, caratteristiche, e possono appunto compensare ciò che manca all’altro.

Fatta questa per me doverosa premessa, vorrei parlare quest’oggi di un tema che come donne, nel mio caso italiane e musulmane ci tocca particolarmente ma che secondo noi non viene sufficientemente conosciuto e approfondito: la condizione della donna musulmana oggi in Italia.

Il Bel Paese senza dubbio è un posto ricco di opportunità, che permette di vivere serenamente e di avere in linea di massima i propri diritti rispettati (crisi permettendo…), di grandi bellezze storiche e naturalistiche e, ogni giorno sempre più, multietnico e colorato. In mezzo a questa ricchezza ha ormai da qualche anno fatto capolino in maniera sempre più evidente la condizione della donna musulmana. E, ogni giorno di più, quella della donna musulmana italiana, divenuta tale per amore di Dio dopo un percorso spirituale e consapevole di conoscenza, studio e fede.

Differentemente dalla donna musulmana immigrata, la musulmana italiana spesso e volentieri si trova in una situazione come di “limbo”: viene considerata né carne e né pesce. Ma non perchè si senta inadeguata, anzi. E’ perfettamente inserita nel tessuto sociale in cui vive proprio perchè autoctona, allo stesso tempo però si vede costretta a galleggiare in una costante situazione di insicurezza per vari motivi che brevemente andrò ad elencare.

Il primo fra tutti – il più evidente – è la scelta di fede di indossare il hijab, parola araba che indica l’uso del velo e dell’abbigliamento islamico.

Il Corano indica chiaramente il precetto di indossarlo, infatti in almeno due versetti esso è nominato, uno dei quali, esplicito come non mai, dice: “O Profeta, di’ alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate. Allah è perdonatore, misericordioso.” (Sura Al Ahzab, i coalizzati, v.59). La musulmana praticante che quindi sceglie con tutto il suo cuore, la sua ragione, la sua fede di indossarlo per amore di Dio si trova in questo paese davanti a varie difficoltà. Sul lavoro, per esempio. Perfino quando è alla ricerca di mansioni semplici e umili come possono essere quelle delle operaie delle imprese di pulizie, alla musulmana viene chiesto di togliere il hijab. Pena la non assunzione, nonostante le referenze. E attenzione, parliamo del classico hijab che lascia scoperte mani e viso, non di burka o niqab che impedirebbero l’identificazione della persona. Insomma, di una copertura che talvolta viene tutt’ora indossata dalle donne più anziane del sud Italia. Più di una volta ho sentito storie di sorelle musulmane (italiane e non) letteralmente costrette ad umiliare la propria fede e la propria persona (per una musulmana è atroce togliere il velo dal capo, perchè si sente in colpa verso Dio) perchè fortemente disagiate e con seri bisogni economici. E mi sono sempre posta la domanda del perchè una donna è costretta ad un’inutile simile umiliazione. Forse che la donna con il velo sul capo lavora meno bene di quella che non ce l’ha? Assurdo, senza ombra di dubbio.

E quando sento parlare di queste storie, mi salta sempre alla mente la serie di foto che grazie al web sono a disposizione dell’intero mondo, nelle quali si vedono donne inglesi che svolgono le più varie mansioni (poliziotte, infermiere, gestori di sale da thè, di negozi, etc.) con il loro bell’hijab o niqab addirittura, che non sono costrette a snaturarsi per avere rispettato il loro sacrosanto diritto al lavoro e a quello della libertà di fede. Così come mi salta alla mente il foulard che l’Ikea, che noi tutti ben conosciamo, ha fatto commissionare su misura con il proprio logo perchè facesse parte della divisa delle commesse e lavoratrici musulmane che sono impiegate in Svezia nei loro famosi centri.

Donne che, nonostante il velo sul capo, hanno grazie a Dio mani e cervelli perfettamente funzionanti… Forse che in Italia si creda diversamente?

Lo stesso problema talvolta sono costrette ad affrontarlo le giovani ragazze che decidono per loro scelta di indossarlo fin dalla più tenera età. E’ tristemente comune in fatti ascoltare storie di professori e professoresse che, velatamente o meno (passatemi il termine…), cercano di convincere la studentessa che frequenta i loro istituti a togliere l’hijab, o perlomeno lo criticano spesso e volentieri, perfino in classe davanti agli altri compagni, mettendo in un ingiusto e scorretto imbarazzo la giovane di turno che, una volta tornata a casa, spesso e volentieri piange a causa dell’insensibilità dimostrata da chi invece dovrebbe contribuire alla sua crescita morale e sociale. Cito anche questi esempi per far riflettere, perchè non sono purtroppo rari, e mi auguro possa, in maniera anche infinitesimale, servire a qualcosa.

Un altro problema che ci tocca profondamente, è quello dei luoghi di culto. Molte di noi hanno poche occasioni di andare all’estero in paesi arabo-musulmani, sono obbligate quindi ad educare qui i propri figli e ad insegnare loro la propria religione (come ogni genitore è tenuto a fare) senza poter far respirare loro l’atmosfera di una vera moschea. Non so se riesco a farvi capire a parole quanto è triste dover festeggiare la ricorrenza più importante dell’Islam, quella che ricorda il comune sacrificio di Abramo, in una palestra umida e fredda allestita alle bell’e meglio, magari anche sporca e in disordine. Vedere donne con neonati in braccio in posti del genere sapendo che si sta ricordando il giorno più importante dell’anno è davvero triste, sconfortante. Ma è questo che ogni anno succede in molte città d’Italia, la mia, Albenga, per esempio. La comunità islamica è costretta ad affittare una palestra o un altro luogo di fortuna per poter espletare le funzioni religiose più importanti dell’anno. Questo perchè quasi ovunque non si riescono ad avere i permessi necessari per aprire non dico una vera e propria moschea con cupola e minareto, ma un più modesto centro islamico con annessa sala di preghiera. Le amministrazioni non lo consentono, gli abitanti delle città non le vogliono. Si fa ancora infatti fatica a trasmettere alle persone il fatto che una moschea, piccola o grande che sia, è una grande ricchezza per tutti, e che non è covo di terrorismo, ma anzi: sarebbe un luogo ove il terrorismo in prima battuta verrebbe stoppato, denunciato, bloccato… E’ già accaduto, nella nostra Italia: un imam (guida religiosa) del Nord ha segnalato alle forze dell’ordine una persona che aveva incontrato nel centro da lui gestito perchè aveva forti sospetti che stesse per commettere atti non legali. Ma se un vero centro islamico non c’è perchè l’amministrazione di questo o di quel paese non ne permette l’edificazione o l’apertura, chi insegnerà alle persone il vero messaggio di pace e giustizia dell’Islam? I nostri figli dove apprenderanno le basi della loro religione? Che ricordi avranno da adulti dei loro momenti di festa? E soprattutto, quanto ci perde in termini di cultura, ricchezza, dialogo interreligioso e conoscenza reciproca una città che non permette l’apertura di questi centri? Quante occasioni mancate, lasciatemelo dire…

E pensare che nella splendida, italianissima Roma è situata la moschea più grande d’Europa, che ogni anno accoglie migliaia di fedeli ma anche visitatori e turisti tra le loro mura, per non parlare dei convegni e delle tavole rotonde, ultima quella che ha visto partecipe anche Giorgio Napolitano, il capo dello Stato… E che nella nostra ligure Genova non più di 150 anni fa già esisteva una moschea vera, dalla quale si poteva udire addirittura il richiamo della preghiera… Moschea della quale nessuno all’epoca si è mai lamentato…

Un altro problema davvero da noi sentito è quello del cimitero. Come musulmane (e musulmani…) italiane o residenti in Italia, dovesse arrivare per noi il momento fatale che indica la fine della nostra vita sarebbe una doppia tragedia: non sapremmo dove essere seppelliti. Infatti, come nel caso della moschea, anche per il cimitero abbiamo immense difficoltà. Molte amministrazioni comunali non consentono (nonostante, badate bene, la Costituzione italiana ed anche i regolamenti comunali lo prevedano) la realizzazione di spazi cimiteriali ove i musulmani possano essere seppelliti secondo i loro rituali. Che poi, è bene specificarlo, basta poco per avere una struttura adeguata. Ci basterebbe solo un pezzo di terra delimitato da una siepe. Non ci necessitano costruzioni in muratura come loculi o similari, perchè la nostra religione prevede l’interramento del corpo del defunto, quindi non si richiederebbe nemmeno uno sforzo in questo senso. Eppure anche in questo caso riusciamo ad ottenere quasi sempre solo dei no. E ve lo assicuro, è una questione che personalmente mi tocca molto da vicino essendo appunto musulmana e profondamente legata alla mia città d’origine. Vorrei essere seppellita secondo il rito che ho abbracciato in essa, ma non saprò fino alla fine della mia vita se questo mai potrà accadere. Forse chissà, come molti fratelli e sorelle di religione stranieri sarò costretta a far trasferire dalla mia famiglia la mia salma in un paese limitrofo, o all’estero, addirittura. Con dispendio di denaro e di fatica. Mi auguro avvenga altro…

In breve, sono questi i punti cardine della nostra vita che come musulmani in Italia ci troviamo quotidianamente ad affrontare. Ho scelto di farne partecipe oggi questa platea proprio perchè come associazione femminile che si propone come interlocutore – nel suo piccolo – di fronte a chi vuol conoscere meglio la nostra realtà a nostro modo vogliamo provare a fare una, seppur modesta, differenza. E vogliamo a nostra volta fare del nostro meglio per attivarci e cambiare le cose, iniziando da ciò che secondo noi è il punto d’inizio ideale: la comunicazione e l’informazione.

Quindi sì, a nostra volta siamo donne attive sul territorio che altro non desiderano che rendere migliore la nostra vita. E quando dico nostra, intendo quella di tutti, musulmani e non. Come il Corano insegna a tutti i credenti, maschi e femmine, da 1433 anni a questa parte.

Grazie.”

L.A.B.

PER SOSTENERE LE ATTIVITA’ DELL’ASSOCIAZIONE:

Sanremo, 12 Maggio 2012. Convegno “Islam e femminismo”


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