Da alcuni giorni imperversa su Twitter l'hashtag #save194: l'origine della protesta è la messa in discussione della legge che permette alle donne di abortire, legge che secondo alcuni andrebbe contro altre due leggi che tutelano la vita. E si ritorna così all'infinita disquisizione se l'embrione abbia o meno il diritto di fregiarsi del titolo di "essere umano" o no, e se quindi l'aborto sia omicidio o no.
E qui si sbaglia. Perché non è in gioco solo la vita di tanti, troppi embrioni, ma quella delle loro madri.
Vogliamo tornare al tempo delle mammane e dei ferri da calza nell'utero? Che se le cose andavano bene, la donna restava sterile, se andavano male ci restava secca.
Non basta vietare una cosa per eliminarla dalla faccia della terra.
La droga è vietata.
La guida in stato di ebbrezza è vietata.
Eppure c'è chi continua a drogarsi e a bere alcolici prima di mettersi alla guida.
Qui è in gioco la nostra libertà. Nostra di donne e uomini. Perché, carini, si concepisce in due, ma tanti maschietti fanno presto a dimenticarselo. E tutto ricade sulle spalle della donna.
Tutto, non solo l'aborto: se sei uomo, non ti vedi negare un posto di lavoro perché un giorno potresti diventare padre. Se sei uomo, non ti vedrai mai costretto a dover scegliere se lavorare o mettere al mondo un figlio. Se sei uomo, non dovrai mai trovarti nel dilemma "carriera o figli?".
Se sei uomo, non ti rendi conto di cosa voglia veramente dire avere una vita dentro di te e decidere di porle fine. Se sei uomo, non ti porterai questo dolore a vita.
Sarà una scelta, ma nessuno ha mai detto che sia facile. In troppi sono convinti che le donne affrontino l'aborto come un anticoncezionale. Mai è stata sparata cazzata più grande.
Sì, l'aborto è una vigliaccata contro una vita che ancora non è degna di tale nome, che non può difendersi, che non ha voce in capitolo. Ma dandole questa voce la si toglie alla madre. Questa è forse una giustizia più giusta dell'aborto?
Ok, al concepimento si era presenti in due e ci si augura entrambi consenzienti e coscienti. Quindi, se si arriva ad avere una vita in grembo un "prima" c'è stato, un momento in cui dire "magari no, magari stiamo attenti, magari...". E però qualcosa succede, la vita comincia ma viene deciso di porvi fine: i motivi sono tanti e meritano tutti rispetto.
Credo che se davvero vogliamo fare qualcosa a favore della vita non sia quello di impedire un aborto.
Cancellare la 194 è come nascondere la polvere sotto il tappeto: qualcuno diceva "sepolcri imbiancati", tanto belli da fuori ma con i cadaveri in putrefazione dentro.
Bisogna intervenire seriamente affinché le donne non si trovino a dover scegliere, non impedire loro di farlo.
Il che vuol dire:
- più corsi di educazione sessuale nelle scuole, ma che siano seri, e farli fin dalle medie;
- sostegno alle donne che non hanno un lavoro e che non possono permettersi di mantenere un figlio (i bambini costano caro);
- sostegno alle famiglie di precari;
- sgravare i datori di lavoro, soprattutto delle piccole imprese, riguardo ai periodi di maternità delle dipendenti - sostituire una donna incinta costa due volte;
- favorire il part-time e il telelavoro (caspita, siamo nel 2012, se non sfruttiamo internet adesso quando lo facciamo?);
- aumentare la presenza e l'aiuto in quelle famiglie con figli disabili: in troppi si trovano soli, come se non fosse già difficile crescere un figlio malato;
- piantarla con la cultura della perfezione, piantarla di nascondere i disabili e di fare finta di non vederli. Perché se spaventa il dolore della malattia, spaventa altrettanto il pensiero degli altri: mio figlio sarà accettato o discriminato? Sarà felice o umiliato?
È necessaria una svolta culturale, seria e profonda: ci vorrà tempo, molto di più di quello necessario a cancellare una legge. Ma cancellare la 194 non risolverà il problema.
Foto di Antonella Beccaria (Flickr.com)