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I fatti. Il giudice tutelare di Spoleto è stato investito della questione dalla Asl alla quale si era rivolta una ragazza minorenne per chiedere l'interruzione di gravidanza. La relazione dei servizi sociali era molto chiara circa la determinazione della ragazza (accompagnata anche dal fidanzato, anch'egli minorenne) nel non voler portare avanti la gravidanza e nel non voler coinvolgere i genitori, ma quello che il giudice ha messo in discussione non ha a che fare con il caso specifico di una minorenne ma con il cuore stesso della legge 194, ossia la possibilità di una interruzione volontaria della gravidanza in generale. Quella usata dal giudice di Spoleto (qui l'ordinanza integrale) è la più classica delle argomentazioni contro l'aborto: l'embrione umano è un “essere provvisto di una autonoma soggettività giuridica” che “in ogni caso deve trovare tutela in forma assoluta” (corsivi miei). È ovvio che, se l'embrione umano “è di certo qualificabile come individuo” e deve trovare tutela assoluta, “necessaria conseguenza logico-giuridica è il ritenere costituzionalmente illegittima qualsivoglia norma di legge che, prevedendo la facoltà di addivenire alla volontaria distruzione dell'embrione umano leda irreparabilmente quel diritto alla vita che è il primo dei diritti inviolabili dell'uomo”.
All' “embrione umano” - “uomo in fieri” eppure titolare dei medesimi diritti dell'uomo (e soprattutto della donna) in carne e ossa - l'ordinamento deve garantire la stessa tutela riservata “alla persona umana anche allorché sia colpita da casi gravissimi di inabilità assoluta”, con una paragone tra embrioni e disabili gravi ai limiti della decenza.
Lo spillo giuridico a cui maldestramente tenta di appigliare il suo ragionamento il giudice di Spoleto è una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea che aveva stabilito che “l’esclusione dalla brevettabilità relativa all’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali (...) riguarda altresì l’utilizzazione a fini di ricerca scientifica”. La parte della sentenza che il solerte giudice tutelare prende in considerazione è quella relativa al concetto di “embrione umano”, definito “qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi”. Definizione che è semplicemente funzionale a individuare l'oggetto della sentenza della Corte europea – la brevettabilità di invenzioni medico-scientifiche sugli embrioni – mentre in nessun luogo della stracitata sentenza si parla di presunti diritti dell'embrione, per di più assoluti.
Del presunto “scontro” tra il diritto dell'embrione alla vita e il diritto della donna alla salute (fisica e psichica) la nostra Corte costituzionale si è già occupata con due sentenze (la 27/75 e la 35/97) che lasciano poco spazio a interpretazioni creative. Pur riconoscendo “che la tutela del concepito abbia fondamento costituzionale”, la Corte ha stabilito con grande chiarezza che “non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare”.
Non c'è nessun motivo per modificare questa giurisprudenza costituzionale consolidata e siamo certi che in tal senso si pronuncerà la Corte mercoledì prossimo. L'allerta però va mantenuta molto alta, perché ordinanze come quella del giudice di Spoleto – che per inciso hanno costretto la ragazza a rivelare la gravidanza ai genitori, che per fortuna hanno acconsentito all'interruzione – rivelano un clima sempre più pesante nei confronti di una legge che ha drasticamente ridotto il numero di aborti in Italia e che negli ultimi anni subisce attacchi sempre più agguerriti. Stiamo all'erta, #save194.
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