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Scompaiono i Rangers, resta un calcio tutto da rifare

Creato il 28 marzo 2012 da Giornalismo2012 @Giornalismo2012
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-Di Andrea Ciprandi

L’ambiente calcistico mondiale è scosso da una vicenda sportivamente tragica: i Rangers di Glasgow stanno fallendo.

Recentemente passati di mano, il loro nuovo proprietario Craig Whyte non è stato in grado di appianare i debiti contratti dal club negli ultimi anni. Sono quasi cento milioni di sterline i soldi dovuti al fisco scozzese. E così la Federazione non ha esitato a mettere la società in amministrazione controllata e penalizzare la squadra di dieci punti in classifica. Al momento, sta anche valutando la risoluzione peggiore: se infatti la situazione non venisse risanata i Rangers verrebbero dichiarati falliti, liquidati e sottoposti al giudizio dei presidenti degli altri club di Premier League che se fosse negativo li condannerebbe alla retrocessione in quarta categoria con l’onta supplementare della perdita del nome.

La Federazione, che non avrebbe potuto prendere una decisione diversa se non andando contro le norme, ha voluto anche far sapere attraverso i propri portavoce che i Rangers (anche se sarebbe più corretto dire i suoi due ultimi proprietari) hanno oltretutto danneggiando l’immagine dell’intero paese. A contribuire anche l’ormai accertata e ignorata ineleggibilità dello stesso Craig Whyte in ragione di una sua precedente condanna per frode finanziaria – trattasi infatti di uno dei tanti speculatori che hanno investito anche nel calcio ma avrebbero potuto farlo in qualsiasi altro campo promettesse cospicui profitti. Se non un accanimento, questo fa presagire di certo l’esclusione di qualsiasi trattamento di riguardo in ragione magari del blasone. Stiamo infatti parlando di uno dei club più antichi al mondo, essendo stato fondato nel 1873, nonché del più vincente che ci sia: più o meno prestigiosi che li si vogliano considerare vista la qualità generale del calcio scozzese, sono pur sempre 115 titoli fra nazionali e internazionali – compresi gli ultimi tre campionati di fila. Col Celtic, storico e acerrimo rivale per ragioni sociali e religiose prima ancora che sportive, i Rangers costituiscono poi il binomio più classico di Scozia essendosi spartiti praticamente il 90% di tutti i trofei mai assegnati in quel paese e dando vita a uno dei derby più tradizionali al mondo, il famosissimo Old Firm. Se ne evince che la sua sostanziale scomparsa rappresenterebbe una svolta epocale.

Come spesso accade in questi casi, sono giocatori e tifosi a dare il meglio. Senza che si sia ancora concretizzato alcun acquisto da parte di imprenditori tifosi e seri, con la promessa di Whyte di sanare il debito puntualmente disattesa e i dirigenti che sembrano (poter) considerare soltanto soluzioni che passino per le aule di tribunale, nel tentativo di fare qualcosa di immediato e concreto i calciatori sono arrivati a ridursi lo stipendio fino al 75% mentre la gente sta organizzando collette: tutti per mettere insieme soldi da utilizzare per la causa. Commoventi. E il caso di domenica scorsa, in occasione proprio dell’Old Firm giocato in casa, è emblematico del momento. Prima dell’incontro si è organizzata l’ennesima raccolta di fondi; quindi la squadra, con un autentico colpo di coda, è eroicamente riuscita a battere il Celtic impedendogli di vincere il campionato sul suo campo, cosa che avrebbe aggiunto beffa al danno. Inutile dire che nessuno, durante la partita, aveva in mente contratti né altro: per quel paio di ore si è trattato esclusivamente di identità e sport – e il fatto che i protagonisti di certe iniziative siano le vittime predestinate della vicenda la dice lunga su cosa è diventato, appunto, lo sport. 

Scompaiono i Rangers, resta un calcio tutto da rifare

Già, lo sport. E’ difficile decidere se sia ancora il caso di parlarne o se invece convenga gettare la spugna. Esempi di fedeltà e attaccamento ai colori come quello della gente legata ai Rangers (ma non solo) farebbero propendere per una resistenza a oltranza, passando magari per rivoluzioni impensabili fino a qualche anno fa ma che nel corso del tempo potrebbero ridare al calcio la giusta dimensione. Poi però ci sono tanti, troppi casi che scoraggerebbero chiunque.

Benché per lo sconforto di tanti tifosi, è encomiabile la fermezza della Federazione calcistica scozzese che sta ora ridimensionando il mondo affaristico dei Rangers di oggi dopo aver di recente usato lo stesso pugno di ferro col Dundee, retrocesso in seconda divisione. In Inghilterra, Leeds United e Portsmouth sono solo due fra le società pesantemente penalizzate per guai finanziari. In Italia nel corso degli anni è toccato, fra le cosiddette grandi, a Fiorentina e Napoli. Contemporaneamente la UEFA sta varando il cosiddetto ‘fair play’ finanziario, un sistema imposto volto a stabilire un giusto equilibrio fra introiti dei club e loro reinvestimento da cui dovrebbe derivare (quasi automaticamente) una gestione sana degli affari e un riequilibrio dei valori in base proprio alle capacità gestionali e al contemporaneo, conseguente maggior rilievo dei meriti sportivi.

C’è però un ‘ma’. Questo ‘fair play’ finanziario, annunciato, fissato nei tempi e già ritardato sembra lasciare ancora troppa libertà alle società più potenti, di cui il movimento non può (anzi, non vuole) fare a meno nonostante si rimetteranno difficilmente in carreggiata nel rispetto dei termini stabiliti e nel frattempo stanno godendo di un’impunità finanziaria esclusiva e sfacciata. Si sa da tempo dei rossi in bilancio (solo parzialmente camuffati dal giochetto delle plusvalenze piuttosto che del riciclaggio di denaro in altri settori) di Milan, Inter, Lazio, Roma e in seconda battuta Juventus – unico club italiano importante ad avere avuto il bilancio in negativo una sola volta negli ultimi dieci anni. Sono risaputi anche i rossi per cifre incalcolabili per esempio di Real Madrid, Manchester United, Manchester City e Chelsea a cui vanno attribuite (concesse in ragione chissà di cosa) anche regolari iniezioni esterne di denaro che fanno decisamente a pugni con lo spirito e ancor prima il principio del citato ‘fair play’. Innumerevoli poi sono i casi di dirigenti alla Whyte, le cui pendenze penali dovrebbero impedirgli di lavorare ma che invece continuano a fare e di fatto essere i protagonisti riconosciuti e acclamati del calcio.

E’ evidente allora che il sistema zoppica. Se la UEFA ha il potere di inibire l’iscrizione alle competizioni continentali a chi non è in regola coi bilanci, alle federazioni nazionali è demandato il primo intervento in presenza di irregolarità. E troppe sono le eccezioni. E’ auspicabile che la colpevolezza di tutti non porti a una dichiarazione di non colpevolezza generale (risoluzione questa che potrebbe essere malauguratamente adottata quando fossero coinvolte troppe grandi), quindi è giusto che arrivino sanzioni; ma non è accettabile che tanti club possano farla franca. Perché se si deve arrivare a ridisegnare il calcio secondo nuovi principi (paradossale che siano quelli della correttezza, evidentemente disattesi fin qui a dispetto del fatto che dovrebbero essere imprescindibili da sempre), allora la regola deve valere per tutti.

Scompaiono i Rangers, resta un calcio tutto da rifare


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