Magazine Per Lei

Seguire le venature

Da Stimadidanno

Un paio di sere fa su facebook mi sono imbattuta in questa immagine (autore anonimo, purtroppo). E' una delicata donnina che emerge dal legno, nodi come occhi e venature come texture. Enigmatica, è l'ennesimo invito a saper guardare. Guardare bene, a fondo, questo mondo fatto di segni e strati e codici aperti alla libera interpretazione. Guardare o specchiarsi, dipende dai giorni. In alcuni periodi mi ritrovo riflessa un po' in tutto: nei nodi e nelle rughe di una superficie, nelle facce assorte e nelle posture, nel colore che si sfalda o si desatura lasciando intravedere la sostanza materica delle cose, nelle linee e nelle macchie d'inchiostro che non inseguono bellezza sterile ma porgono dubbi. Stupidoanimismo non è altro che questo. 

Seguire le venature

l'originale


Dopo aver visto questa immagine, ho dato un senso alla presenza del pirografo in casa. Per gioco ho provato anch'io a seguire le venature cercandovi un disegno da far emergere, perché è quella la lezione della donnina misteriosa. Le venature della tavoletta che avevo a disposizione erano poche e mi è uscita una creatura stranita, con capigliatura invasa da pesci e una sedia pericolante in cima. Nulla di originale, tanti difetti, ho giocato. Ho deciso che la chiamerò Virus, una faccia deve pure averla ciò che da più di una settimana purifica la mia famiglia. Per essere la mia prima vera volta con il pirografo mi sono divertita, anche perché il risultato è stato immediato e con pochissimo sforzo. Virus è anche un po' dorata e la foto non le rende giustizia. Ho deciso che le voglio bene anche se ha lo sguardo spiritato. Povera Virus, quanto mi somigli, opera prima che rimarrà tale e in bozza come la maggior parte delle mie azioni.

Seguire le venature

Virus


Mentre bruciavo il legno, pensavo. In questi ultimi mesi la salute di persone care mi ha fatto così preoccupare. Ora sono tranquilla, ma il marasma emerso è lì ancora tutto da affrontare, certe questioni sono solo rimandate. Pensavo alle parole che mettono spalle al muro a fare i conti con quello che si è fatto e con quello che si ha ancora da fare, se si ha voglia, se ne vale la pena. Pensavo agli orizzonti, che mi fanno sentire meno colpevole e meno pigra. Pensavo a G. e alla sua naturale predisposizione al racconto, la r arrotata e quel sorriso negli occhi, nei capelli, nelle orecchie e nelle mani. Pensavo e bruciavo il legno seguendo la venatura, che non va dritta, non va curva e non si avvita su se stessa. Semplicemente va, scorre, ha una sua logica e una sua bellezza irregolare, mai uguale ma armonica con tutto quello che sta intorno. Bruciavo le linee, le consumavo, le deviavo un po', ma solo di poco, per far emergere la mia donnina spiritata con naturalezza.
Poi ieri ho letto un'amica e ho ritrovato un po' di quei pensieri e persino le venature: 
"l’unico modo per non sprecare il nostro tempo è impiegarlo per diventare una persona che valga la pena di amare (...) E non vuol dire solo farci amare dagli altri. Vuol dire riuscire a voler bene a noi stessi, almeno un po’. E per arrivarci, ci tocca farci largo in mezzo a tutto il caos e al rumore, scoprire chi siamo (hai detto niente) e sforzarci di realizzarlo, di realizzarci. Ogni secondo, minuto, ora e giorno. Almeno un po’.
Così, quando arriveremo all'ultimo giorno, ora, minuto e secondo, almeno una persona alla quale vorremo un po’ di bene l’avremo vicino per forza. Probabilmente, sperabilmente, molte più di una" (Minimo, “Com’è che si fatto tardi così presto?”)
E mi sono venute in mente alcune parole che ha scritto Antonio Malafarina sul suo blog diverso tempo fa.  Le metto qui, perché secondo me sono pertinenti e perché sono preziose, oggi:
"Quel “siate affamati” di Jobs è terrificante. (...). Sono stato male, tutto qui. Non male così… Male, male. Male proprio. Quattro giorni in rianimazione, quasi una ventina in tutto, sei sacche di sangue, ricovero in una stanza per persone con gravi infezioni… Stavo bene prima di stare male. Non una considerazione lapalissiana, ma una prima riflessione: siamo fragili. Per quanto forti, sani, e perfino ricchi come Steve Jobs, l’imprevedibile è alle porte. Altra banalità? Altra considerazione: l’istante, con tutto quello che ci mettiamo dentro, non è scontato. Ma quant’è odioso, tuttavia, l’assai diffuso “viviamo ogni istante come fosse l'ultimo”. L’idea di avere questa morte con il fiato sul collo è macabra. Tutto può accadere. Il peggio, è vero. Ma anche no. Il “peggio” è solo una porzione delle possibilità.
Io preferisco affrontare ogni istante quasi fosse il primo. Goditelo. Sii curioso. Cerca di esplorarlo. Porta qualcosa a te stesso e qualcosa alla società. L’istante successivo potrà essere migliore. Se siamo fragili meglio vivere il momento in maniera positiva. Non sia mai di vivere col rimorso d’aver rinunciato a un ideale. E se uno l’ideale non ce l’ha? Un triste inghippo. (...)
Non ho paura della solitudine. Non temo la mancanza di comunicazione con gli altri anche se sono un comunicatore e mi piace stare in mezzo alla gente. Almeno non lo temo in gran misura. Da ragazzo riuscivo a stare meglio da solo con me stesso. Probabilmente ero meno fragile. Ora quando mi parlo faccio un po’ più di fatica a tirare fuori qualcosa di positivo. Però mi confronto. Guardo al contesto. Penso. Butto l’occhio sul mondo, su quello che accade. Occupo la mente. A mio modo vivo. E molte volte è difficile farlo perché stai male. Perché non hai la forza psicofisica per pensare. Il tuo corpo non reagisce e la debolezza o il dolore, per esempio, prendono il sopravvento. E poi c’è la morte. Non mi respira addosso, o forse sì ma non ci penso (troppo). È sempre lì, sullo sfondo. Non la temo. Sono cattolico. La morte è un passaggio di luogo. Spero di finire in quello giusto. In più io e lei ci siamo incontrati tante volte. Ci conosciamo bene.
Quanto è falso che quando stai per morire ti passa davanti tutta la vita. Dillo a uno che muore all’improvviso. Invece è vero che ti senti impotente. Tu e lei. Uno indifeso e l’altro in agguato. Questo è brutto. È lì. Ti aspetta. Non ne hai paura perché al di là non c’è niente oppure sta la tua salvezza (si spera). Può persino essere una liberazione dal dolore e quindi che sia la benvenuta. Ma… In quei momenti dove non puoi fare nulla e saresti pronto a qualsiasi cosa per salvarti, per sfuggire a quella stretta (quel dolore, quella fatica…) che ti prende perché stai affrontando un lasso di tempo che sembra non voler passare mai, allora percepisci quanto sia importante il bene. Quanto sia meraviglioso agire per cancellare il dolore. L’ansia. Il timore. Ti viene come una smania di amare." (Lo sportello del disabile, Le ragioni del mio silenzio)
Accosto qui le mie parole, quelle di Laura e quelle di Antonio, diverse e vicine come le linee sulla mia tavoletta di legno, diverse ma tutte a convergere in un punto: la qualità dei rapporti e del proprio fare. A questo punto la mia Virus sgrana gli occhi ancora di più e i pescetti se la ridono tra i suoi capelli.

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