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Secondo la carta dei diritti dell'ONU o qualcosa di simile (non ho voglia di verificare il nome esatto dell'ennesima Carta calpestata ordinariamente da tutti) i padani, e solo loro, potrebbero votare un referendum che ne sancirebbe l'autonomia come stato. E' interessante notare due cose. La prima è che la Lega non proporrà mai tale referendum perché, come disse un vecchio molto saggio, peggio di non fare un referendum c'è solo perdere un referendum, e loro lo perderebbero. Il secondo punto è che, secondo l'ONU, potrebbero votare solo i padani e, in questo caso, non varrebbe lo statuto della Lega che prevede 12 regioni dalla Valle d'Aosta alle Marche, ma solo il sangue padano puro. Ossia, lo dice la parola, quelle popolazioni che sono nate e si sono riprodotte nelle vallate baciate dal Po (il Padus). Io potrei votare, Calderoli non lo so. I valdostani no di certo. E Nemmeno i bergamaschi.
Perché Padania non esiste, punto. Se poi dobbiamo discutere di federalismo, argomento utile ed interessante, bene, anzi, benissimo. Ma le stronzate no. L'ETA, così come ogni movimento indipendentista, basa le proprie idee sull'esistenza concreta di un popolo e sulla rivendicazione della propria autonomia, al netto delle polemiche sui confini geografici dove una regione, come il Tirolo, può essere più austriaca che italiana. Per cultura, lingua madre, tradizione. Ma anche per letteratura linguistica, o magari teatro, o cinema, o musica. Ma se il Tirolo vuole essere Tirolo è un discorso, se Milano vuole essere Lombardia anche. Se la Padania vuole esistere no, non c'entra più nulla. E' falsa, stabilita a tavolino, imposta all'ideologia in base al reddito procapite. Resta poi da capire se Bobo Maroni, uno a caso, preferisce essere capo di stato della Padania o ministro della Repubblica italiana. Vista la poca foga che mette nel sostenere non dico l'autonomia, ma quantomeno un federalismo serio, direi che la seconda ipotesi è la più azzeccata. Più centralisti dei leghisti, in questi ultimi governi, se ne sono visti pochi. Talmente centralisti che la prima norma verso il federalismo è stata la soppressione dell'ICI, una tassa locale.
Non ce ne va bene una. Per fortuna noi non siamo passati attraverso 40 anni di bombe e più di 800 morti, ma la coerenza dell'ETA, per quanto drammatico possa essere, è stata quella di salutare e ringraziare i compagni caduti, quelli esiliati, quelli rifugiati e quelli incarcerati. Nessun pentimento per aver cercato di ridare al proprio popolo la propria terra. Patria basca e libertà. Euskadi Ta Askatasuna. Perché intorno all'ideologia indipendentista, alla voglia di autonomia non può esserci il solo fine di lucro, ma la volontà di liberare la propria tradizione, la propria cultura, la propria idea di stato e di democrazia. La propria lingua, punto comune che unisce prima di ogni altro le persone.
In Italia si rincorrono santi, poeti, filosofi, scrittori, marinai e cantanti senza chiedere da dove arrivino perché il nostro punto comune è quello. Non può esserci secessione, perché non abbiamo storie e provenienze differenti, solo domini stranieri, poi contrastati e rigettati oltre confine. Altrove esistono idee che si basano su quella che qualcuno definirebbe una etnia diversa, affermazione antropologicamente errata ma che aiuta a capire perché qualcuno, a torto o a ragione, rispettando le istituzioni o meno, può rivendicare una certa autonomia, una certa autogestione. Non si guarda il modello 730, ma si acolta la tua lingua, la tua storia.
A noi, dicevo, non ce ne va bene una. Perché dall'idea di autodeterminazione siamo riusciti a tirar fuori il peggior partito indipendentista della storia dell'uomo e, visto che anche il Rais ci ha lasciati, corre l'obbligo ricordare che alle Primavere arabe noi rispondiamo con gli autunni semifreddi: quattro stronzi che emulano la rivoluzione e alle nove di sera vanno a mangiare la pizza con gli amici.
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