Nei giorni in cui più o meno ogni scuola d'Italia si sbatte per proiettare film sul Risorgimento, optando inevitabilmente per Noi credevamo, che è bellissimo ma poco adatto agli studenti, o finendo per scegliere Senso, ché tanto di altre robe famose su quel periodo non ne esistono, se ne è andato anche Farley Granger, che di quel film era il protagonista e che Luchino Visconti considerava una seconda scelta rispetto all'agognato, e non ottenuto, Marlon Brando, insieme con l'altrettanta agognata, e l'altrettanto non ottenuta, Ingrid Bergman. Farley Granger era invece un attore caro a Hitchcock, che gli ha dato in due casi parti di personaggi ambigui e paurosi, un omesessuale assassino in Nodo alla gola e un tennista assassino per procura in L'altro uomo, forse per via di quella faccia decadente e melliflua, elegante e lamentosa, perfetta anche per il mélo (L'altalena di velluto rosso). Come per Liz Taylor pochi giorni fa, anche in questo caso mi chiedo quanto la sua bravura d'interprete incidesse sull'efficacia delle sue interpretazioni, quanto soprattutto più del talento dei singoli attori nel cinema classico contasse il potere immaginifico di un intero sistema produttivo e narrativo. Quel cinema era una gabbia perfetta dove tutto stava insieme e niente sfuggiva ("senza buchi né macchie", ha scritto Truffaut), e Hitchcock che lo sapeva più di ogni altro nei suoi film ci metteva sempre strutture geometriche, linee diritte o perfettamente circolari. Sapeva, lui, che fuori da quel mondo i suoi attori non avrebbero retto. E se sulla Bergman, alla quale sconsigliò di fuggire da Rossellini, si sbagliava, su Farley Granger, vista la reazione di Visconti, aveva visto giusto.
Magazine Cultura
Nei giorni in cui più o meno ogni scuola d'Italia si sbatte per proiettare film sul Risorgimento, optando inevitabilmente per Noi credevamo, che è bellissimo ma poco adatto agli studenti, o finendo per scegliere Senso, ché tanto di altre robe famose su quel periodo non ne esistono, se ne è andato anche Farley Granger, che di quel film era il protagonista e che Luchino Visconti considerava una seconda scelta rispetto all'agognato, e non ottenuto, Marlon Brando, insieme con l'altrettanta agognata, e l'altrettanto non ottenuta, Ingrid Bergman. Farley Granger era invece un attore caro a Hitchcock, che gli ha dato in due casi parti di personaggi ambigui e paurosi, un omesessuale assassino in Nodo alla gola e un tennista assassino per procura in L'altro uomo, forse per via di quella faccia decadente e melliflua, elegante e lamentosa, perfetta anche per il mélo (L'altalena di velluto rosso). Come per Liz Taylor pochi giorni fa, anche in questo caso mi chiedo quanto la sua bravura d'interprete incidesse sull'efficacia delle sue interpretazioni, quanto soprattutto più del talento dei singoli attori nel cinema classico contasse il potere immaginifico di un intero sistema produttivo e narrativo. Quel cinema era una gabbia perfetta dove tutto stava insieme e niente sfuggiva ("senza buchi né macchie", ha scritto Truffaut), e Hitchcock che lo sapeva più di ogni altro nei suoi film ci metteva sempre strutture geometriche, linee diritte o perfettamente circolari. Sapeva, lui, che fuori da quel mondo i suoi attori non avrebbero retto. E se sulla Bergman, alla quale sconsigliò di fuggire da Rossellini, si sbagliava, su Farley Granger, vista la reazione di Visconti, aveva visto giusto.
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