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Poi però pretende di decidere quali sono quelli adatti e quali no. Non c’è rispetto per i desideri: “Questo lo compro, è carino, ma questo è una schifezza e ha già il cassetto pieno di bambole, non ne serve certo un’altra. E poi quella barbie con l’automobile, costa cinquanta euro! Ma lascia perdere, è anche un gioco da maschio, solo per avere un’altra bambola che poi butta in un angolo dopo averle tolto tutti i vestiti!”.
Non si accontenta quindi di collaborare, di aiutare senza chiedere nulla in cambio, senza pretendere di guidare le scelte, senza per forza sostituire la volontà altrui. No, non le basta, vuole comandare, decidere il cosa e il come, ciò che è degno dei suoi soldi, dei suoi emolumenti e ciò che invece non li merita.
“Non preoccupatevi, ci sono io, vi aiuto io”. E così mi ritrovo un nuovo padrone in casa, che vuole decidere dell’aspetto e dell’utilità di ogni cosa per cui apre il borsellino, che pretende favori continui, che, come ho sempre giustamente temuto, vuole comandare, vuole sottomettere alla sua autorità, al suo potere.
Ho sempre pensato che, al contrario di mio padre, uomo di destra ma di infinità onestà, rettitudine e generosità, mia madre abbia sempre rappresentato il fascismo più degenere, vigliacco, sottile, insidioso, cattivo, moralmente corrotto. Non è l’ordine ciò che cerca, ma la sottomissione totale. La stessa che lei ha nei confronti di qualsiasi autorità, dal classico “signor dottore” rivolto al più incapace dei medici, al “signor professore” che ha sempre, a prescindere, diritto e ragione. La tranquilla prigionia di sottostare a chiunque decida al posto suo, a chiunque le dica cosa si deve e non si deve fare, il masochistico e ambiguo piacere di obbedire all’autorità, godendo per questo del diritto di soggiogare economicamente e psichicamente chiunque cada nella sua sottile e infida ragnatela.
In questo momento, oltre a non godere di alcun aiuto alla famiglia da parte dello stato che invece, attraverso l’agenzia delle entrate, continua a torturarmi con richieste assurde e meschine, né dall’associazione dei giornalisti di cui, con vergogna faccio parte, che richiede contributi pensionistici al di sopra di qualunque altra categoria, né da amici o conoscenti, scomparsi come fossi un appestato, non posso nemmeno contare sull’unico genitore e parente rimasto. Anzi è la persona da cui devo più riguardarmi.
È per questo che, sole o neve, freddo o caldo, le mie giornate si stanno trasformando in tristi processioni in cui non sono più nemmeno padrone di decidere di che colore comprare le scarpe a mia figlia.
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