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Seven pounds

Da Miwako
Non sarei io se facessi tutto in tempi utili.
Sia mai. Qualcosa deve andare di traverso, intanto. Sempre. E non mi riferisco a quel trancio di salmone che ho mangiato sei ore fa e che ancora non è sceso più giù dell'esofago. Ma alle coincidenze, alle cose bloccate in gola, ai voli, fisici e pindarici. Ancora non ero nata ed ero già capace di creare equivoci. Mi giravo di schiena, immancabilmente, poco prima dell'ecografia. "Che guardi, voyeur?" devo aver pensato. "E' un altro maschio, signora", hanno pensato loro. La forma della testa, della schiena; si, è un maschio.
Mario.
No, dico, MARIO, mi avrebbero chiamata.
Mario per una femmina ci può anche stare, me lo vedrei bene addosso, ma per un maschio no, non dopo il 1975.
Ho l'impressione che questi scatoloni vuoti non si riempiranno da soli, e quelli del trasloco dovrebbero venire martedì. "Quelli del trasloco" sono mio fratello, MisterB. e il suo utilissimo camion.
Mentre rincasavo, qualche ora fa, ho incontrato la M. Se ne stava seduta sulle scale di Sant'Ambrogio, come fa spesso. Passare di lì, gettare uno sguardo cercando quella nuvola di riccioli rossi tra la folla è qualcosa che faccio da tempo immemore. Era felice. Non ci vedevamo dalla mia laurea, ma tengo molto a lei. Abbiamo fissato per mercoledì a pranzo, ma bisognerà posticipare, che l'ubiquità ce l'avevo in versione demo e mi è scaduta dopo la laurea.
Ho pranzato con I. e H. Mi è sembrato tutto così naturale, che non ho pensato che sarebbe stata l'ultima volta. Meglio non averlo pensato, ma che brutta cosa però, le ultime volte. I. è stata una fetta importante della mia vita qui, soprattutto in quest'ultimo, densissimo, anno. Se rifletto su come ci siamo ri-trovate, su quanto abbiamo condiviso, su come siamo cambiate, mi viene da dire che siamo proprio belle, le migliori. anzi. E penso che staremo bene.
Un the freddo con V. e poi una passeggiata nel parco in cui ci siamo conosciuti, a parlare di massimi sistemi, come al solito. Ci siamo abbracciati, prima di salutarci; "E' stato un amore platonico, ma è stato bello". E' la prima volta che intuisco quanto sia stata diversa la percezione della nostra amicizia dal suo punto di vista. So che non lo sentirò nè lo vedrò più; è probabile che se ne torni in Russia nei prossimi due anni. Vorrei tanto che imparasse a volersi bene.
E' tardi, e questa strada immobile non muove neppure un muscolo.Uno dei miei dirimpettai pizzica la chitarra da ore. E' piacevole.Un altro russa, e si sente fino a qui. Un po' meno piacevole.Sento le serrande de "I dolci di Marco" che si alzano stanche. Mi affaccio, non penso e parlo sottovoce: "Marco ... Marco", Marco si volta, confuso, "Quassù!", alza la testa senza riuscire a scorgermi per via del lampione, esattamente sotto la mia finestra "Lo sa che i suoi dolci sono i più buoni del mondo? Dico davvero, del mondo intero.". Marco ride, con quel suo viso impastato di sonno e bonarietà "Grazie", gira la chiave nella serratura e sparisce inghiottito dal suo laboratorio mentre il suo sorriso rimane impalpabile a riempire la notte.Anche se lui non mi conosce glielo dovevo dire, prima di andarmene.
Sette i nani, i re di Roma, le meraviglie del mondo. Sette notti ancora. Vorrei non dormire più.


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