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Carissime amiche, dopo una piccola pausa riprendiamo il nostro appuntamento con le “Nuove Penne”. Oggi è la volta di Anna Gioiosi e il suo racconto “Sichelgaita”.Facciamo un tuffo nel passato, precisamente nel MedioEvo e incontriamo Sichelgaita, principessa di Salerno.La sua città è stata assediata da un Normanno, Roberto il Guiscardo e dai suoi compagni mercenari. La donna è costretta ad cedere e a sposarlo, ma non è disposta ad arrendersi al suo destino.Così Sichelgaita escogita un piano per tentare di liberarsi del marito, ma forse non andrà proprio come si immagina… che cosa succederà alla principessa? Sarà obbligata a passare il resto della sua vita con un mercenario? O magari conoscerà l’amore?
Non vi resta che scoprirlo e non dimenticate di lasciare il vostro commento!;)
PS: Vi ricordo inoltre, per chi ancora non lo avesse fatto, che siete sempre in tempo a mandarci i vostri raccontini! Noi siamo sempre felicissime di leggerle e di condividerli con le nostre amiche! Seguite le istruzioni: LINK
SereJane
Sichelgaita di Anna Gioiosi
Salerno, anno domini 1058
Sbagliato! Era stato tutto uno sbaglio, fin dall’inizio. Sichelgaita sollevò la testa di scatto dal guanciale e restò a sedere sul letto, portandosi le mani al viso. Bionde onde di grano maturo le ricaddero sulle spalle. Il petto si sollevò in un sospiro pesante. Le dita affusolate massaggiarono più volte gli occhi, prima di abituarsi alla penombra della stanza. Fasci di luce sottile penetravano attraverso le fessure del portellone di legno, accostato sull’unica finestra della camera da letto. Un vocio sempre più prepotente proveniva da fuori. Uomini che lanciavano richiami ai cani, donne ciarlanti, bambini che gridavano... Salerno era già sveglia, il sole alto. Era tardi.Scostòcon cautela le coperte, valutando le eventuali reazioni del suo consorte ancora nel pieno del sonno.Il leggero fruscio delle lenzuola solleticò il corpo nudo e lui si girò su un fianco, emettendo un gemito leggero. Lui era lì, le gambe muscolose avvolte nel lenzuolo, sulla schiena i segni delle sue unghie, il ricordo di quella notte di passione, della loro prima notte di nozze.Il suo cuore sussultò e i suoi occhi, due fessure di cielo, non riuscirono a staccarsi da quell’uomo dai lunghi capelli biondi, dalle labbra spesse, dalla mascella virile, di svariati anni più grande di lei.Un Normanno. Lei non lo voleva, lui l’aveva presa come uno dei tanti castelli che aveva assediato.Lui, Roberto il Guiscardo, si era presentato a corte in un modo indecente. Era entrato assieme ai suoi fideles, le peggiori canaglie del regno. Mercenari, teste calde che prima agivano e poi pensavano.Che indecenza! Mostrarsi davanti a suo fratello Gisulfo, il principe di Salerno, con quell’esercito di bestioni.Non l’aveva neppure salutata, come le convenienze richiedevano. L’aveva esaminata come fosse il bottino di una razzia e poi aveva offeso suo fratello, riottoso a dargliela in moglie. «Provvederò di persona alla dote, se le vostre finanze non sono all’altezza di questo matrimonio. Donerò a Sichelgaita le terre più fertili e i più bei castelli di Calabria.» aveva detto, sfidando le buone maniere e irrompendo nella sala del trono come se si trovasse in battaglia. Pazzo! Era pazzo se pensava che lei gli avrebbe concesso il suo cuore.Lo odiava e presto avrebbe trovato un modo per tornare libera. Aveva già progettato tutto. Un leggero veleno, lento e silenzioso, che ogni giorno lo intossicava accumulandosi nelle sue vene. E c’era una fedele alleata ad aiutarla in quel compito ingrato. Trotula de Ruggiero, la sua illuminata maestra di arti mediche. Il silenzio assenso del giovane fratello Gisulfo, preoccupato di perdere il trono, l’aveva incoraggiata. L’eroe bandito lo aveva chiamato. E aveva ragione. Un drago in battaglia, un uomo scaltro e spregiudicato in politica. Quanto alla sua vita privata… era tutto un incalzare di pettegolezzi. Aveva ripudiato la prima moglie, adducendo la scusa di una consanguineità non accertata, su di lui pendeva la scomunica del Papa.Prima di alzarsi i suoi occhi vagarono ancora una volta sul corpo del marito, e il suo cuore sussultò, e si ribellò all’ipocrisia della sua mente che reclamava vendetta. Sbagliato!I piedi nudi toccarono il freddo pavimento di pietra. Un brivido la attraversò e la costrinse a stringersi le braccia attorno al corpo. Poche volte all’anno faceva così freddo a Salerno e quella era una delle gelide mattine di gennaio, in cui avrebbe desiderato volentieri rintanarsi in qualche stanza e trascorrere tutto il giorno a ricamare. Ma ben altri compiti la attendevano. Si infilò alla svelta il pregiato abito di bisso color malva. La stoffa scivolò sontuosa sopra la sottoveste di lino con un fruscio musicale. Indossò le babbucce e uscì cauta dalla stanza, percorrendo il lungo e scuro corridoio che portava verso le scale e verso i piani sottostanti. Là, nascosta nell’ombra di qualche recondita nicchia, c’era Trotula, pronta a consegnarle la dose giornaliera della pozione che presto l’avrebbe resa di nuovo una donna libera. «Finalmente!» Esclamò una voce dal buio di una rientranza della parete. «L’hai portato magistra?» «Sì» rispose la donna, porgendole un’ampolla con del liquido scuro. «Devi farglielo bere tutto. Una goccia in meno e non avrebbe più l’effetto che vogliamo.» «Bene» rispose lei mente gli sfilava di mano la pozione.«Aspetta.» una morsa leggera le trattenne il braccio. «Non hai niente da dirmi?»«Cosa dovrei dirti? Ho capito: deve berlo tutto.» La saggia signora si fece avanti. Un volto cereo, di un’età indefinita, avvolto in una rosa di capelli corvini che brillavano di riflessi bluastri alla luce delle torce. Occhi grigi, innaturali e misteriosi, indagarono il volto della giovane discepola e amica. «Ci stai ripensando. Non è così?»Sichelgaita sussultò. «No, affatto! Perché questa domanda?»«I tuoi occhi non mentono, Gaita. Ti conosco e c’è una luce nuova nel tuo sguardo. Una scintilla pericolosa. Ti stai innamorando di lui.» «Ti sbagli.» replicò, fissando la mano rugosa che ancora le tratteneva il braccio. «Sono solo prudente, una donna sposata, e non voglio scandali o, ancora peggio, che lui lo venga a sapere. Sarebbe capace di darmi in pasto ai suoi mastini.»«Hai ragione, dobbiamo essere prudenti. I suoi uomini sono dappertutto. Ma ti conosco da troppo tempo e credo che ci sia dell’altro. Mia signora, quell’uomo è pericoloso. Rammenti cosa è accaduto alla prima moglie? Ripudiata e messa da parte come una sgualdrina. Chi ti dice che presto non si stancherà anche di te? Tieni bene a mente queste mie parole, nel caso ti venga voglia di rinunciare al nostro complotto.»La saggia magistra Trotula. La medichessa, come la chiamavano a corte, aveva ragione. Dovevano portare a termine il loro piano. Morto. Strinse tra le mani l’ampolla, la seconda dose di veleno. La prima l’aveva già avuta il giorno del loro banchetto nuziale. Dopo la terza, avrebbe iniziato a vedere il lento effetto che quella sostanza letale aveva su di lui. Sospirò, nascose l’ampolla in una scarsella annodata alla sottoveste e ritornò verso la camera da letto. Scostò la porta con cautela. Lui dormiva ancora nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato. Velocemente estrasse l’ampolla da sotto il vestito e la versò nel boccale di vino, appoggiato sopra lo scrittoio. Lui emise un gemito, si rotolò nella sua direzione e dischiuse gli occhi. Lei trasalì e lo osservò trattenendo il fiato.Le labbra di Roberto si sollevarono formando una piega seducente sulla barba ispida, un sorriso malizioso che le rese il cuore un tamburo irrequieto. «Buon giorno mia dolce sposa. Già sveglia?» Lei provò a sottrarsi ma fu impossibile. L’avvolse nella morsa delle sue braccia muscolose, la bocca calò impietosa sulla sua. Il suo odore. L’odore di un uomo che sapeva di terra, di muschio bagnato, di cuoio e di ferro. La forza del suo corpo che premeva contro il suo, la sua lingua ruvida che si faceva strada nella bocca, le sue mani forti, impietose, che la esploravano. Deviodiarlo! Ma il suo corpo non rispondeva all’ordine della sua mente e lo lasciava fare. Fu lui a scostarsi ed interrompere quel vortice di passione. «Partiremo oggi stesso per la Lucania. Non posso trattenermi ancora con i nemici che minacciano le mie terre.» Lei annuì e il suo pensiero andò a Salerno, alla sua gente, alla sua amata terra. Era confusa, disorientata. L’amara constatazione che le parole della saggia Trotula fossero il monito di un oscuro presagio, la spinse ad afferrare il boccale col veleno. Lo tenne stretto tra le mani ancora un istante e poi glielo porse. «Brindiamo amore mio. Un brindisi di buon auspicio per la nostra nuova vita.» Lui afferrò la coppa e la bevve tutta d’un fiato. Lei attese, impietrita, il tempo di un battito d’ali, il soffio di un respiro. Il tonfo sordo del recipiente che si infrangeva sul pavimento le mozzò il fiato. Il volto di Roberto si tese in una smorfia di dolore, ricadde sul letto, mentre le braccia si avvinghiavano attorno allo stomaco. «C… che mi hai fatto!» Gridò col volto contratto dagli spasmi.Oddio! Che aveva fatto? Forse Trotula aveva pensato di eccedere nella dose per accelerare la morte. La morte di Roberto, del suo valoroso marito. «Roberto! Ti prego guardami! Respira!» Gli prese la testa e se la poggiò sul grembo. Lui aveva chiuso gli occhi. Doveva essere soddisfatta. Invece qualcosa le si era spezzato dentro. Fiumi di lacrime trasbordarono dalle ciglia e caddero sul volto esanime del marito. «Roberto! Perdonami amore mio. Sono una sciocca, mi sono lasciata convincere… perdonami! Rispondimi, ti prego. Dimmi che non morirai.» Ma i suoi sfavillanti occhi azzurri restavano chiusi e il respiro sempre più leggero. Un grido, il latrato di una belva ferita, le uscì dalla gola senza controllo. Strinse il suo sposo tra le braccia dondolandosi avanti e indietro come se volesse cullarlo in quel sonno mortale. Dapprima fu un movimento impercettibile, poi più definito, quello che vide ad un tratto stagliarsi sul volto del marito, finché un riso beffardo prese il posto della smorfia di dolore. Sichelgaita sgusciò via da lui, dal loro talamo, e si appiattì contro la parete della stanza, tremando come una foglia. «Voi… voi come avete potuto? Vi credevo già morto!» balbettò in preda al terrore.«Non era quello che volevate?» la sua voce le entrò nelle orecchie fino a stordirla e il sangue le si gelò nelle vene. «Che volete dire?» «Pensate davvero che questo stupido Normanno non si sia accorto dei vostri complotti? Sono giorni che i miei uomini vi seguono. Voi e la vostra amica maga. E così vi ho preceduto. Radice di Belladonna,» disse, estraendo da sotto il guanciale un sacchetto di cuoio «l’antidoto più potente che ci sia al mondo, neutralizza qualunque veleno.» «Cosa mi aspetta?» chiese rassegnata, tra i singhiozzi che le squassavano il petto.«Sarò ripudiata come avete fatto con la vostra prima moglie o mi farete appendere alla forca?»Una lama brillò nella penombra. Un brivido le percorse la schiena, sentì il metallo freddo che si accostava alla sua gola. Era finita. Il suo braccio le circondò il ventre, la barba ispida le sfiorò il viso. Sentì la sua stretta rude e crudele, il suo alito sul collo, il drago che bramava la preda. «Non vi farò nulla.» disse ad un tratto liberandola dalla morsa e gettando la spada per terra. «Verrete con me in Lucania, dimenticheremo questa storia e d’ora in poi mi obbedirete come si conviene a una moglie.» Lei lo osservò allibita e notò che i suoi occhi erano lucidi, Roberto sguardo d’acciaio vacillava nelle sue certezze. Le catturò la bocca con prepotenza, lei ansimò ancora in preda al terrore, non poteva credere a quelle parole, non poteva cedere alla passione. «Che fate? Non ora, non così. Vi prego!» Con un gesto rapido le allentò la scollatura e la mano le scivolò bramosa lungo il collo. Lei chiuse gli occhi, il respiro affannoso, la costatazione che non poteva più sfuggirgli, che era nelle sue mani. «Siete pazzo!» Sussurrò in un anelito di voce, ormai incapace di sottrarsi alla sua bocca che la tormentava, alle sue mani che impietose vagavano sui seni.«Sono pazzo perché ti amo Gaita, ti amo nonostante tutto e ti ho già perdonata.»
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