Mentre Renzi prepara l’assalto al cielo, tra una tappa e l’altra del suo trionfale tour di propaganda, evitando rigorosamente incontri pubblici a Firenze, indossando caschetti da carpentiere e intestandosi il merito della costruzione del nuovo Parco della musica (su facebook, decine di migliaia di fiorentini inviperiti sono iscritti a due gruppi di protesta contro l’atteggiamento del sindaco nei confronti delle maestranze del Maggio), nel Pd, nonostante l’aria da smobilitazione generale, con i papaveri del centrosinistra (non solo piddini!) che si affrettano a salire sul Camper del bimbetto della provvidenza, qualcuno si ostina a parlare di sinistra. E lo fa con logica e cognizione di causa e con una prospettiva nuova, slegata da ideologizzazioni fossilizzate e demonizzanti.
Barca, Civati e Cuperlo offrono interpretazioni diverse, ma non contrapposte della missione della sinistra. L’irrinunciabile dogma dell’egualitarismo non è più interpretato in una chiave demagogicamente pauperistica, ma nel senso di un’apertura totale alla partecipazione e di garantire il diritto alle pari opportunità di ogni cittadino, indipendentemente dalle differenti appartenenze di genere e orientamento sessuale e di status socioeconomico. La trama paziente che i tre esponenti democratici stanno intessendo sul territorio rappresenta sicuramente una base di partenza sulla quale costruire un partito di centrosinistra finalmente libero dalle ambiguità che hanno caratterizzato il percorso del Pd dalla sua nascita.
Esistono però due ordini di problemi che possono rendere vano il lavoro fatto. Il primo è rappresentato dalla capacità di questo cantiere e dello stesso partito di reggere l’urto dello strapotere mediatico di Renzi. A questo proposito, i recenti endorsement da parte di figure di primo piano per il sindaco fiorentino possono essere letti in due diverse maniere: come riconoscimento della superiorità strategica e comunicativa di Renzi o come atto dimostrativo, volto a manifestare la coesione attorno al leader, sia in funzione apotropaica contro le minacce del Pdl, sia come tentativo di depotenziare lo stesso Renzi, inducendolo ad abbassare la guardia nella disputa interna. Chiarire questo punto è essenziale per avere un’esatta cognizione del rapporto di forze tra i dirigenti che opterebbero per una soluzione leaderistica di stampo renziano o per una basata sulla dialettica di squadra.
Proprio la capacità di fare squadra dei tre esponenti democratici (e di tutti coloro che decideranno di metterci la faccia in questo percorso) è attesa da una verifica, prima di azzardare qualsiasi pronostico sulla fecondità del lavoro svolto in questi mesi. Esiste, all’interno del Partito Democratico, la volontà di organizzare una forza di ispirazione laica e socialista da contrapporre a Renzi nella disputa per la leadership interna e governativa, che non si sfaldi in caso di sconfitta, ma che rimanga salda per far meglio ascoltare le proprie istanze, anche nel caso prevalga il fumoso modernismo renziano? Dalla risposta a questo interrogativo dipendono le sorti del Partito Democratico, della sinistra italiana e della nazione.